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domenica 3 marzo 2019

Vintage Rock Experience - Boretto, 2/3/2019

Un concerto rock in un teatro è sicuramente un evento insolito. Non sapevo proprio cosa aspettarmi, mentre guardavo i volti delle persone in coda per il biglietto. Sarà semplice concerto o ci saranno parti narrate? Da quali gruppi attingeranno per la scaletta? Psichedelico? Hard rock? Prog? In realtà un mini assaggio l'avevo già avuto mentre parcheggiavo accanto al teatro nel pomeriggio e ho sentito qualche frammento di Pink Floyd. Gli indizi sono buoni, vedremo!

Il quintetto è salito sul palco poco dopo le 21 e già da Hush, nella versione dei Deep Purple, si è capito che la qualità della musica sarebbe stata altissima e che la serata sarebbe stata una di quelle in cui il grande rock degli anni d'oro si ferma in un teatro di provincia. Il gruppo è capitanato dal chitarrista Riccardo Bacchi, ottimo chitarrista emiliano e titolare del progetto RavenBlack Project, affiancato da Svi al basso, da Francesco Savazza alle tastiere, da Alessandro Mori alla batteria e dall'eccezionale vocalist Gianbattista Manenti. Gianba, come lui stesso ricorda lo chiama sua mamma quando si arrabbia, domina la scena muovendosi sul palco con l'esperienza dei cantanti più navigati e con una presenza scenica gigantesca. E siamo solo alla prima canzone, wow!

Basta guardarsi dietro per vedere che il teatro è strapieno, sia in platea che in galleria. L'attesa è tanta, ma ci vorrà poco per scoprire che verrà ripagata alla grande. La serata è dedicata al decennio dal 1968 al 1978, che non a caso è proprio l'anno di nascita di Bacchi, di cui stasera festeggiamo il compleanno con qualche giorno di ritardo. Ogni anno della decade è introdotto da un breve filmato che ricorda gli eventi più importanti avvenuti in quello stesso anno, e tra la guerra del Vietnam, il primo sbarco sulla Luna, la morte di Martin Luther King e il rapimento di Aldo Moro, di fatti da narrare che hanno cambiato gli equilibri mondiali ce ne sono molti. I brevi inserti filmati danno molto spazio agli avvenimenti storici avvenuti proprio nel nostro paese che in quegli anni rincorreva il resto del mondo e dell'Europa, come l'ingresso in commercio della FIAT 126, i primi film di Fantozzi e l'avvento della televisione a colori. E ovviamente non possono mancare in questi piccoli racconti gli eventi più importanti della musica rock e dell'hard rock che in quegli anni muoveva i primi passi grazie a gruppi come i Black Sabbath, i Deep Purple e i Led Zeppelin.

Il gruppo si muove sul palco alla perfezione, ogni pezzo lascia il segno ed è incredibile come i cinque sappiano passare dai Beatles ad Emerson, Lake & Palmer e dagli Who alla PFM con una disinvoltura e una naturalezza da veri maestri, e poco dopo l'inizio inizia a serpeggiare la consapevolezza che non siamo davanti solo a cinque ottimi musicisti ma a un vero dream team del rock italico. Ed è ancora più incredibile come Gianba sembra non avere ostacoli vocali confrontandosi con i mostri sacri come Ozzy e Robert Plant. Ed è proprio su Whole Lotta Love, in cui Gianba regala una delle sue performance migliori, che sale sul palco anche il pittore Davide Pini che durante l'esibizione della band completa due tele di arte moderna ispirato dalla musica che sente attorno a sé. Del resto, come dice anche Gianba, l'arte non ha confini e questa sera dalla musica ci spostiamo anche sulla pittura.

La seconda metà dello spettacolo vede una predominanza di pezzi dei Pink Floyd che consentono alla band di sfruttare una strumentazione diversa, con i vari strumenti che usava proprio la band di David Gilmour in pezzi come Comfortably Numb o Shine On You Crazy Diamond. Per questa seconda parte il gruppo diventa un sestetto con l'ingresso della bravissima Irene Ettori in veste di corista e di voce femminile che da sola interpreta il vocalizzo di The Great Gig in the Sky che sarebbe proibitivo per la maggior parti delle cantanti del mondo, ma che lei esegue con una spontaneità indescrivibile.

Il pubblico si scalda particolarmente quando partono le prime note di Bohemian Rhapsody. Riccardo dice che è un esperimento, ma a giudicare dal risultato sembra uno di quelli rodati. Gianba interpreta la parte di Freddie nel migliore dei modi e il pubblico risponde con entusiasmo ogni volta che il nostro vocalist lo invita a fare i cori che abbondano negli oltre sei minuti del pezzo.

Poco prima di mezzanotte Gianba annuncia dal palco che purtroppo lo spettacolo volge al termine. Ed è un concerto in un teatro, dicevamo. Ma la location insolita non impedisce al pubblico di raccogliersi ai piedi del palco per il gran finale in cui anche Gianba imbraccia la chitarra.


In teatro fa un caldo infernale e questa notte di fine inverno offre ben poco refrigerio anche all'aperto. E mentre si viaggia verso casa è d'obbligo cercare un po' di rock anni 70 nell'autoradio perché il concerto è volato e perché questo straordinario combo ha omaggiato i giganti del rock in un modo unico, in un modo a cui forse nemmeno gli autori originali avevano pensato.

martedì 19 febbraio 2019

Leize - Deriva

A poco più di tre anni dal precedente Cuando Te Muerden tornano i baschi Leize con un nuovo album in studio intitolato Deriva. Rispetto al disco precedente la formazione della band vede una sola modifica, con l’ingresso del chitarrista Mikel Lazkano in sostituzione di Patxi Carrasco che è stato uno dei fondatori della band nel lontano 1982.

Per questo nuovo lavoro i Lezie ripropongono il proprio marchio di fabbrica senza distanziarsi molto dal modello originale, proponendo quindi un rock urbano (sottogenere del rock spagnolo) fatto di basi hard rock grezze ed essenziali e testi che parlano di tematiche sociali, relative soprattutto alla vita delle classi più povere.

Il nuovo album, così come i precedenti, è composto da sonorità ruvide, dirette e sanguigne e dal canto aspro del vocalist Felix Lasa a cui spesso si aggiungono i tre musicisti in poderosi cori, soprattutto nei ritornelli. Tra le dieci tracce del disco si trova ovviamente una predominanza di pezzi veloci; ritmi più lenti si trovano nell'unica ballad Calle 38 e nella melodica Dame Tu Mano contraddistinta da un coro sul ritornello particolarmente ricco.

Il disco vede anche la presenza di due ospiti. Il primo di questi è il chitarrista degli Avalanche (che in passato ha militato anche nei Mägo de Oz) Jorge Salán che partecipa alla grintosa Mi Lugar, pezzo più trascinante del disco grazie proprio all'energico suono della chitarra e anche al coinvolgente ritornello. Inoltre Alberto Marin è ospite in No Me Da La Gana che si avvicina notevolmente al metal grazie proprio alla partecipazione del chitarrista degli Ankhara.

Tra i pezzi migliori troviamo sicuramente anche la potente traccia di apertura Castigo e Dime Lo Que Quieres che si distingue per un ritmo vicino al punk e per le atmosfere generalmente più leggere rispetto al resto del disco.

Con questo nuovo album i Leize realizzano l’ennesima gemma di rock della loro discografia che è purtroppo sconosciuta al di fuori del loro paese, nonostante la qualità non manchi e al contrario è sempre rimasta alta in tutte le loro produzioni. E’ un vero peccato che questa ottima band goda di così poca considerazione al di fuori della Spagna, per ora non resta che sperare che Deriva serva a regalare loro un po’ di visibilità in più oltre ai confini iberici.

sabato 26 gennaio 2019

Pierre Edel: rock 'n' roll tra Parigi e Mosca

Che un cantante di valore partecipi a un talent show è un evento raro, che un cantante fenomenale ne faccia addirittura quattro è un evento unico nella storia. E’ questo il caso del vocalist francese Pierre Edel che ha partecipato a ben quattro edizioni di The Voice (in Francia nei primi mesi del 2014, in Russia nell’autunno dello stesso anno, in Ucraina nel 2016 e in Belgio nel 2018) e le sue interpretazioni di Whole Lotta Love, The House of the Rising Sun (due volte) e Sweet Child o’ Mine alle blind auditions sono tra le più apprezzate della storia di questo format. Nelle sue esibizioni al famoso talent show, Pierre ha dato ampio sfoggio della sua voce potente e della sua estensione e anche di una buona ecletticità, sapendo interpretare classici del rock, ma anche muovendosi bene in terreni più pop interpretando Bennie and the Jets di Elton John o Gimme! Gimme! Gimme! degli ABBA.


Pierre Edel è nato a Parigi nel 1987 da padre francese e madre russa e ha vissuto tra Parigi, Mosca, Londra, India e Ucraina e il contesto multiculturale in cui è vissuto influenza notevolmente la sua produzione musicale. Inoltre Pierre parla russo e francese madrelingua e questo spiega le sue connessioni con il mondo russo.

L’attività discografica di Pierre Edel ha preso le mosse ben prima della sua partecipazione a The Voice, quando nel 2013 realizzò una cover di Love Child dei Deep Purple, stampata al tempo anche su CD single. L’anno dopo Pierre Edel formò un duo con il chitarrista russo Sergey Mavrin dal nome Show Time e questa inedita accoppiata realizzò un EP dal titolo Press Your Fucking Delete Key dai suoni smaccatamente crossover, con basi vicine al metal e con Pierre alterna il canto al rap.

La collaborazione tra i due è continuata e nel 2015 quando incisero una cover di Geroy Asfalta (Герой асфальта) degli Aria, dall’album omonimo del 1987, di cui lasciano inalterata la melodia senza rinunciare a rendere più moderne le sonorità dal metal classico originale. In questa prova Pierre regge benissimo il confronto Valery Kipelov, pur avendo una voce notevolmente più acuta e molto diversa dal vocalist degli Aria. Per l’occasione il brano è stato inciso anche in francese con il titolo di Le Héros de l'Asphalte e con il testo tradotto dallo stesso Pierre. Nello stesso anno Pierre ha prestato la voce cantando in sanscrito nel brano Govinda nell’album Neotvratimoye (Неотвратимое) dei Mavrin, band fondata proprio da Sergey Mavrin.

Due anni dopo Pierre ha inciso il proprio primo album solista disponibile interamente su Soundcloud, in cui oltre a cantare con il suo timbro inconfondibile suona la chitarra, il basso e anche la tastiera in alcuni pezzi. Lo stile musicale di questo album è chiaramente ispirato ai modelli classici del rock degli anni 70 e degli anni 80 e il punto di forza di queste incisioni risiede sicuramente nelle notevoli capacità canore di Pierre, visto che il vocalist fa ampio sfoggio di acuti e di vibrato, che sono le doti migliori già messe in luce a The Voice e nelle sue produzioni precedenti.

Il disco parte alla grande con Ruins of Love il cui grintoso riff di chitarra è ispirato ai fondatori dell’hard rock come i Deep Purple o i Black Sabbath; le stesse atmosfere settantiane si trovano anche in Shower of Tears. Le influenze sulla musica di Pierre Edel non si esauriscono agli anni 70, visto che nell’album si trovano anche sonorità ottantiane e marcatamente AOR come in Snakewheel Ambustion e Return to the City of Love, dove la città dell’amore del titolo è ovviamente Parigi. Tra i pezzi dal sapore anni 80 si trova anche Chemistry of Love che di distingue per l’intro acustico dalle suggestioni caraibiche. Nell’album non manca una spruzzata di funk, con 66Sex, e nemmeno qualche momento più d’atmosfera con le power ballad Electric Bridge e Breaking Chains che chiude il disco.


Sul canale YouTube di Pierre Edel si possono trovare le versioni acustiche di Electric Bridge, Chemistry of Love oltre a un pezzo inedito intitolato Tu M’as Tout Dit, una ballad in cui troviamo il vocalist cantare in francese, dando così un tocco di originalità a questo pezzo dai ritmi lenti.

Nonostante sia poco noto al di fuori del mondo francofono e russofono, se non per le performance a The Voice, Pierre Edel è una delle realtà più interessanti del rock contemporaneo grazie a una voce singolare e molto versatile, e anche alla sua capacità compositiva riscontrabile nei suoi pezzi originali. Non resta che sperare che il grande pubblico si accorga di questo enorme talento e magari il mezzo per farsi conoscere potrebbe essere quello di allungare la lista dei talent show a cui ha partecipato.

martedì 18 dicembre 2018

Intervista a Giacomo Voli

Se fino a qualche anno fa veniva considerato il miglior cantante mai uscito da un talent show, oggi a Giacomo Voli questa etichetta inizia ad andare stretta, molto stretta. Il cantante di Coreggio ha infatti al suo attivo due dischi solisti e un album come vocalist dei TeodasiA, ha prestato la voce all'ultimo lavoro in studio di Edward De Rosa ed è attualmente il frontman e cantante dei Rhapsody of Fire.

Per parlare di tutti i suoi progetti e per raccontarci qualcosa di sé, Giacomo Voli ha accettato la nostra proposta di concederci una nuova intervista, dopo quella di qualche anno fa.

Ringraziamo Giacomo per la sua cortesia e disponibilità


125esima Strada: Ciao Giacomo e bentornato su questo blog! Parliamo anzitutto del tuo pezzo più recente Senza l'Autotiùn, ironico e tagliente. Come è nato questo pezzo? Che storia c'è dietro?

Giacomo Voli: Ciao a tutti! Il pezzo Senza l'Autotiùn è nato da una bozza di Filippo Martelli... della quale bozza non è rimasto nulla! Ahahaha... Scherzi a parte, ad inizio 2018 ho lavorato insieme ad un team per selezionare alcuni singoli in mezzo ad una decina di miei pezzi, e ho anche lavorato ad idee di Mr. Martelli per avere più spunti possibili. Musicalmente si trattava di un funky un po' 80, basato sulla chitarra acustica, il risultato dovrebbe lasciar capire come l'ho trasformato!

Dal punto di vista testuale ho lasciato libera la mente, è nato una sorta di "manifesto" di un rocker come tanti. Quelli come me che ascoltano e cantano generi anche più pesanti del pop italiano generalmente hanno apprezzato questo schiaffo simbolico alle abitudini della radio e della tv.

Ci sono molti riferimenti e potrei anche parlarne ma... preferisco lasciare a chiunque la libertà di riconoscere una propria battaglia o un proprio pensiero all'interno del testo!


125esima Strada: Recentissimamente hai partecipato alle selezioni per Sanremo Giovani, ma purtroppo non sei arrivato alla fase finale. Cosa ti resta di questa esperienza? Hai imparato qualcosa che ti porti a casa nel tuo bagaglio di esperienza?

Giacomo Voli: San Remo Giovani è stata una scelta difficile. Sicuramente ha creato non poche discussioni... D'altra parte, come credo tutti possano capire, queste occasioni sono quelle importanti per presentare la propria musica in ambiti molto conosciuti, che conservano una grande visibilità.

Ogni discussione legata alla qualità dell'ambiente, del "genere" che viene accettato lì... la lascio al tempo che trova. La musica che viene trasmessa e ascoltata è lo specchio di ciò che siamo, come la televisione. Mi sono detto che per rompere qualche muro qualcuno doveva pur cominciare!


125esima Strada: Da cosa pensi che sia dipesa la tua esclusione (non certamente dalla mancanza di talento!)? Forse il tuo stile non è abbastanza sanremese?

Giacomo Voli: Eh... ce ne sarebbe da dire. Ovviamente con precisione non lo saprò mai... Sicuramente il brano era "di rottura", così come è stato definito molte volte, e poteva essere un'arma a doppio taglio.

Io mi sono presentato con un'etichetta indipendente, Massarelli Production, e non avevamo nessuna possibilità di prevalere sulle grandi major e sui favoriti (Sony, Universal, Warner, Sugar ecc) perciò tutto dipendeva dai posti "vacanti" una volta che i favoriti fossero stati scelti. Spero di non dire cose scandalose...

Io sono sicuro di ciò che ho visto: Baglioni e la commissione si sono divertiti molto, tanto mi basta.


125esima Strada: Parliamo del futuro. Cosa ci puoi anticipare sull'EP di prossima uscita?

Giacomo Voli: Per adesso non ho una data precisa della pubblicazione... posso dire che raccoglierà sicuramente Senza l'autotiùn e l'altro singolo che era stato registrato (per iscriversi sono necessari due brani).

L'EP avrà un valore importante per me, perché racconterà la mia nuova maturità, nella scrittura, nella musica e nell'arrangiamento. In questi giorni sto lavorando assieme al management e al produttore per scegliere adeguatamente i prossimi passi da fare. Spero di potere dare presto notizie!


125esima Strada: Da due anni sei anche il vocalist dei Rhapsody of Fire, raccogliendo un'eredità pesante di cui sei sicuramente all'altezza. Quali spunti nuovi ti dà questa esperienza nel più importante gruppo metal del nostro paese?

Giacomo Voli: Sicuramente la vicinanza con un grande compositore come Alex Staropoli mi ha fatto crescere in modo esponenziale. Il mio compito, oltre che vocale, è stato quello di scrivere la nuova saga e i testi del primo disco con questa formazione, assieme a Roberto de Micheli (chitarrista). Tutti e tre abbiamo creato il nuovo cuore pulsante della band, con l'aiuto di una sezione ritmica paurosa (Alessandro Sala al basso e Manu Lotter alla batteria).

Ciò che ho imparato grazie a questa esperienza (appena cominciata) è sicuramente di aver approfondito ancora di più la capacità compositiva, le qualità delle diverse lingue (ho cantato una stessa canzone in quattro lingue, e uno dei singoli anche in una lingua orientale) e la loro musicalità. Queste cose hanno un valore inestimabile per me.


125esima Strada: La tua carriera solista è molto diversa da ciò che interpreti nei Rhapsody of Fire. Quali lati diversi della tua personalità metti in campo in queste attività così lontane tra loro?

Giacomo Voli: Come solista combatto una battaglia culturale, contro la musica italiana come la conosciamo. Credo fortemente che la bella musica non abbia genere, quando un brano è costruito bene (testo e musica) all'interno del proprio genere, non ha paragoni che reggano.

Il mio intento è di abituare anche me stesso all'idea che le sonorità rock che amo non devono essere così distanti dalla nostra cultura e dalla nostra bellissima lingua. Perché? Perché io parlo, sogno, desidero in italiano :D

Con i Rhapsody of Fire (nonostante il genere sia molto differente per ambientazione e potenza) ho potuto ritrovare il lato "lirico" e "cavalleresco" che come solista non esprimo, perciò sono due aspetti di me che sento complementari e coesistenti dentro di me, sono contento di avere più sfumature e lati da osservare... altrimenti sai che noia?


125esima Strada: Ci puoi anticipare qualcosa anche sul nuovo album dei Rhapsody of Fire di prossima uscita?

Giacomo Voli: La prima pietra di un bel viaggio! Credo che sarà ottimo "pane" per i denti dei fan di lunga data.
Abbiamo voluto conservare molti dei "cliché" tipici della storia della band, la saga, i termini epici e fieri, le battaglie, la magia... senza rinunciare alla freschezza della line up. Siamo molto fieri del nostro lavoro!


125esima Strada: Recentemente hai anche intrapreso una nuova attività in cui esegui delle cover dei Queen. Ci racconti qualcosa di questo nuovo progetto e anche di come è nata la tua passione per i Queen?

Giacomo Voli: Il primo amore non si scorda mai... giusto? Fin da quando avevo pochissimi anni ricordo i dischi A Kind of Magic e Innuendo come colonna sonora delle mie giornate. Questo piccolo "tributo" è stato frutto di una passione irrefrenabile che, in questa chiave, aveva senso di essere espressa. Esistono centinaia di tributi ai Queen, ma questa formula rende la nostra proposta differente dal solito. Francesca Mercury è un'enciclopedia ambulante del rock (oltre che una persona speciale) e racconta aneddoti e curiosità su Freddie e i Queen, Nik Messori è un chitarrista straordinario (suonava con Grignani e molti altri) e anche un ottimo corista. Io mi sono preso il compito di suonare anche il pianoforte, oltre che a cantare le parti del grande frontman. Mi emoziono ogni volta!

Vi aspetto anche lì.


125esima Strada: Grazie ancora del tempo che ci hai dedicato e buon lavoro!

Giacomo Voli: Grazie a voi per il sostegno! Alla prossima!

venerdì 14 dicembre 2018

A.A. V.V. - Metal Christmas

Nel 1994 è stata pubblicata la compilation Metal Christmas che come suggerisce il titolo stesso è una raccolta di classici natalizi reinterpretati da alcuni dei migliori esponenti dell'hard rock e dell'heavy metal di quel periodo. Tra gli interpreti troviamo il cantante degli FM Steve Overland, John Sloman (frontman dei Lone Star e degli Uriah Heep), Kim McAuliffe delle Girlschool, il chitarrista Ray Callcut, Denny Laine dei Wings, il chitarrista spagnolo Carlos Creator e Paul Di'Anno che di certo non ha bisogno di presentazioni.

Questi straordinari musicisti si cimentano con i brani della tradizione natalizia, spesso adattandoli al proprio gusto personale, non solo nelle basi musicali ma anche nelle linee vocali che sono talvolta diverse da quelle che tutti conosciamo. Il disco è comunque un lavoro di squadra, infatti come si evince dai crediti i vocalist non impegnati nella parte principale eseguono cori e seconde voci negli altri brani

I quattro pezzi cantanti da Paul Di'Anno con il suo consueto timbro graffiante valgono da soli l'intero disco; l'ex cantante degli Iron Maiden interpreta Silent Night, White Christmas, Santa Claus is Coming to Town e Another Rock'N'Roll Christmas personalizzandole e dotandole di basi metal che si adattano perfettamente ai pezzi classici. Silent Night è forse la traccia meglio riuscita per il bellissimo connubio tra forza e tradizione e per come Paul Di'Anno personalizza la melodia vocale.

Anche Steve Overland esegue un compito magistrale reinterpretando Winter Wonderland e trasformandola in un pezzo AOR grazie alla base patinata e al suo cantato in stile ottantiano. Overland interpreta anche This Christmas, l'unico pezzo inedito del disco, una power ballad in stile natalizio. L'unica voce femminile del disco è quella di Kim McAuliffe che canta Merry Xmas Everybody degli Slade, tra l'altro Kim si cimenterà in futuro in un altro classico natalizio incidendo Auld Lang Syne (il Valzer delle Candele) per la compilation We Wish You a Metal Xmas and a Headbanging New Year.

Chiude il disco l'unico brano strumentale, Little Drummer Boy interpretata da Carlos Creator che per l'occasione suona tutti gli strumenti (tranne la batteria, affidata a Jaime Wright).

La compilation è stata ristampata nel 1996 con una copertina diversa e nel 1997 con il titolo di Rockin' Good Christmas. Purtroppo e inspiegabilmente non è tra le più note compilation natalizie in chiave heavy metal, ma resta comunque una delle migliori di questo ristretto insieme ed è sicuramente un'ottima alternativa alle incisioni più tradizionali e metterà d'accordo sia gli amanti della tradizione che quelli del metal, per un pranzo di Natale un po' più rockeggiante del solito.

giovedì 15 novembre 2018

Northward - Northward

L'inedito duo dei Northward è il nuovo progetto di una coppia d'eccezione del rock nordico, formata dal chitarrista dei Pagan's Mind Jørn Viggo e dalla straordinaria cantante Floor Jansen che ad oggi è la frontwoman dei Nightwish e che in passato è stata anche vocalist dei ReVamp e degli After Forever.

Il primo album di questo nuovo combo, che si avvale della collaborazione di quattro musicisti turnisti, porta il nome stesso del gruppo e propone un hard rock lontanissimo dalle atmosfere metal tra il symphonic, il power e il prog in cui i due si muovono di solito. Il risultato è un album di rock massiccio e duro in cui ha ampio spazio la chitarra di Viggo e che trae la propria forza dalla voce di Floor che è una delle migliori voci femminili al mondo. Chi credeva che il più recente album dei Nightwish non valorizzasse al meglio la voce della cantante olandese sarà sicuramente soddisfatto dall'album dei Northward in cui la vocalist riesce a tirare fuori il meglio dello stile moderno del suo canto (lasciando ovviamente da parte quello lirico, per cui esistono altri progetti musicali come i gruppi in cui ha militato in passato e le esibizioni dal vivo dei pezzi più vecchi dei Nightwish).

Il disco parte fortissimo con le grintose While Love Died e Get What You Give che danno subito un ottimo assaggio di ciò che verrà a seguire, con due tracce ricche di riff di chitarra poderosi e della potenza vocale di Floor. L'album contiene stili di rock molto diversi attingendo anche dall'AOR degli anni 80 con pezzi come Let Me Out e la graffiante I Need. Tra i brani più energici spicca anche la poderosa Big Boy che inizia con duri e grezzi riff di chitarra dalle venature nu metal prima che Floor attacchi la prima strofa.

Floor mostra anche il lato più dolce e meno aggressivo della sua voce nelle ballad come Drifting Islands, che vede come ospite la cantante Irene Jansen che duetta con la sorella, o la bellissima e acustica Bridle Passion realizzata con solo voce e chitarra. Tra i momenti più melodici spicca anche Timebomb che alterna strofe da midtempo a un ritornello più energico. Chiude il disco la title track, brano di oltre sette minuti la cui prima metà suona come una ballad dal sapore pop per poi assestarsi su ritmi più veloci nella seconda parte.

Il primo album di questo duo mostra l'incredibile ecletticità di questo duo, che dimostra di saper realizzare dell'ottima musica anche in terreni lontani da quelli abituali. In realtà i due hanno scritto i pezzi nel lontano 2008 ma sono riusciti a realizzare l'album solo nel 2018 per via degli impegni di entrambi con le rispettive band. Questo LP è una delle migliori e più ricche creazioni hard rock di questo 2018 e in realtà questo non stupisce più di tanto, perché se si può contare su un talento naturale e versatile come Floor Jansen tutto diventa molto più facile. Non resta che sperare che Floor e Jørn Viggo non vogliano lasciare isolato questo esperimento e che non servano altri dieci anni prima che riescano a realizzare un altro grande album come questo.

mercoledì 31 ottobre 2018

Greta Van Fleet: salvatori del rock o tribute band?

Sono il fenomeno musicale degli ultimi anni. Molti critici musicali hanno scritto almeno un editoriale su di loro, non c'è un sito internet che tratti di hard rock che non abbia una loro recensione e la rotazione dei loro pezzi sulle radio di genere ha una frequenza impressionante.

Stiamo ovviamente parlando degli americani Greta Van Fleet, quartetto di giovanissimi che dopo aver dato alle stampe due EP nel 2017 ha quest'anno pubblicato il proprio primo LP dal titolo Anthem of the Peaceful Army. Li si ama o li si odia, i Greta Van Fleet non sembrano capaci di generare emozioni pacate e dividono il pubblico tra chi li considera i salvatori dell'hard rock e chi li reputa poco più di una tribute band dal successo immeritato.


Sulle loro capacità tecniche non ci sono dubbi. La loro musica è sicuramente piacevole, tutti i pezzi si lasciano ascoltare e ogni loro passaggio in radio è sempre gradito. I dubbi sono, semmai, sulla creatività e la loro capacità autorale.

La caratteristica peculiare del quartetto del Michigan è infatti che la loro musica assomiglia in modo smaccato ed esplicito a quella dei Led Zeppelin; tutto nel sound dei Greta Van Fleet ricorda la band di Jimmy Page e Robert Plant, dalle melodie, ai riff di chitarra al cantato di Joshua Kiszka che imita Plant in tutto e per tutto.

I critici più ottimisti sostengono che i Greta Van Fleet abbiano il merito di far avvicinare il pubblico più giovane al rock degli anni 70, che gli stessi Zeppelin hanno al loro tempo attinto a piene mani dal blues di Chicago e che altre band, come i Darkness o gli Struts, si ispirano ai modelli del passato senza attirarsi le critiche che ricevono i Greta Van Fleet.

E' sicuramente vero che Page e Plant hanno spesso copiato in modo disinvolto da Muddy Waters, Howlin' Wolf e molti altri, ma il suono dei Led Zeppelin è sempre stato molto diverso da quello dei bluesman americani; basti pensare che gli Zep hanno sostituito le chitarre acustiche con quelle elettriche e che il canto di Plant è diversissimo da quello dei modelli a cui si è ispirato. Nessuno in un ascolto in doppio cieco potrebbe confondere Muddy Waters con i Led Zeppelin; lo stesso non si può dire di un confronto tra gli Zeppelin e i Greta Van Fleet che sono quasi indistinguibili per chi non conosca a memoria le discografie. I Darkness attingono dall'AOR ottantiano, ma il loro sound non si confonde con quello di nessun'altra band e le somiglianze tra gli Struts e i Queen sono molto meno marcate di quelle tra i Led Zeppelin e i Greta Van Fleet.

Detto questo, per ora i Greta Van Fleet sono una buona band, forse una delle migliori in circolazione, ma il fatto di non avere un suono distintivo li relega nel gruppo delle "buone band". I fasti dei Led Zeppelin sono molto lontani e per ora non sembra proprio che i Greta Van Fleet possano rimanere nella memoria come una delle band più iconiche di questo decennio. Il rischio è che finiscano nel limbo dei gruppi che non esplodono mai, come i Bush o gli Screaming Trees il cui talento non è mai stato premiato del tutto.

Sicuramente i Greta Van Fleet hanno il tempo dalla loro parte, sono poco più che ventenni e avranno la possibilità di sviluppare un suono più personale. Glielo auguriamo di cuore, ma fino ad allora il loro impatto nella storia della musica rimarrà molto limitato.

mercoledì 24 ottobre 2018

Ace Frehley - Spaceman

Ace Frehley è noto soprattutto per essere il chitarrista storico dei Kiss avendo fatto parte della formazione iniziale della band newyorkese dall'esordio nel 1973 fino all'82 e poi ancora dalla reunion del 1996 al 2002. Ma oltre alla militanza nella band di Paul Stanley e Gene Simmons, Ace Frehley può vantare una ricchissima carriera parallela come solista e come frontman dei Frehley's Comet da lui stesso fondati.

Con il nuovo Spaceman è giunto al suo ottavo album solista e il titolo stesso del disco chiarisce in quale direzione Frehley voglia andare: spaceman era infatti la maschera che indossava nei Kiss e che componeva il quartetto con Starchild (Paul Stanely), Demon (Gene Simmons) e Catman (Peter Criss). Le nove tracce del nuovo album offrono quasi un'ora di puro hard rock che attinge dalle origini musicali dei Kiss che mischia nelle giuste dosi i suoni duri degli anni 70 con quelli patinati e divertenti dell'AOR ottantiano.

Spaceman centra perfettamente il proprio obiettivo regalando nove tracce divertenti, che prendono subito al primo ascolto e che spingono ad alzare il volume per tutta la durata del disco. Come è ovvio e normale aspettarsi tutte le nove tracce sono basate sul suono grintoso della chitarra e sulla voce tonante di Ace. L'album è piuttosto breve, ed è forse questo il suo unico limite, ma proprio per questo non contiene riempitivi, ma solo pezzi di altissimo livello. Se proprio dovessimo scegliere tracce migliori di altre la scelta cadrebbe sulla ruggente traccia di apertura Without You I’m Nothing che vede ospite Gene Simmons in veste di autore e bassista e su Your Wish Is My Command, scritta anch'essa insieme a The Demon.

Il disco contiene anche la cover di I Wanna Go Back dei Billy Satellite che trasforma una melodica ballad in un pezzo potente midtempo che rallenta il ritmo rispetto al resto del disco. L'unico altro pezzo che presenta ritmi più lenti è l'ultimo e strumentale Quantum Flux che sconfina nel soft rock.

Giunti alla fine dell'ascolto di questo portentoso album, che purtroppo ad ogni ascolto sembra finire troppo in fretta, resta solo da constatare che i musicisti della generazione di Ace Frehley sono tra i migliori che il nostro pianeta abbia mai ospitato e che tra i chitarristi più giovani non se ne trova uno che possa competere con questo quasi settantenne. Questo disco convince sotto ogni aspetto, compositivo, musicale e vocale, risultando una delle incisioni migliori di questo 2018 che va a porre un altro memorabile tassello nell'incredibile e immensa galassia musicale nata intorno al quartetto dalle facce dipinte nato a New York nei primi anni 70.

domenica 2 settembre 2018

Giacomo Voli - Castelvetro Piacentino, 1/9/2018

Il tempo non è stato clemente e una pioggia pomeridiana ha costretto gli organizzatori della Sagra dello Scalogno di Castelvetro Piacentino a spostare il concerto acustico di Giacomo Voli dal palco di Via Roma al tendone utilizzato per la cena. Lo spazio dedicato ai musicisti era un angolo del padiglione, vicino a dove venivano servite le pietanze e dove il pubblico poteva vedere meglio gli artisti all'opera.

Il nostro Giacomo ha imbracciato la chitarra poco dopo le 21 dando via a una serata di musica basata sulla sua straordinaria voce valorizzata dalla chitarra suonata da lui stesso. Il repertorio della serata è stato tratto dal meglio del rock degli anni 70 e 80 spaziando dagli AC/DC ai Deep Purple con qualche tocco di rock nostrano grazie a Impressioni di Settembre della PFM. In questa serata così strana e atipica Voli ha dato molto spazio alle cover dei Queen attingendo da ogni fase della loro carriera, da Crazy Little Thing Called Love a Who Wants To Live Forever, la scelta non appare casuale essendo Giacomo Voli uno dei pochissimi cantanti al mondo che possono avvicinarsi al compianto Freddie.

Tutti i pezzi della serata sono stati riarrangiati per chitarra e voce trasformando ogni brano, anche i più scatenati come Hush o Whole Lotta Love, in un leggero midtempo dal sapore inedito, a riprova che i grandi musicisti riescono sempre a dare risvolti nuovi ai classici. Giacomo coinvolge anche il pubblico invitandolo a fare dei cori sui pezzi più noti, e la folla di Castelvetro Piacentino risponde con il calore che il nostro cantante merita. Nella setlist c'è spazio anche per un pezzo dall'album solista di Voli Prigionieri Liberi, la power ballad Il Libro Dell'Assenza, proposta qui in una chiave ancora più melodica e d'atmosfera.

La serata si chiude con I Don't Want To Miss a Thing degli Aerosmith e con l'immancabile Rock And Roll dei Led Zeppelin, e non serve nemmeno ricordare perché questo pezzo sia così importante nella carriera di Voli, tanto che quasi viene naturale considerarla ormai una canzone di Giacomo come capita in quelle rare volte in cui la cover è migliore dell'originale.

Finita l'esibizione Giacomo si siede nel pubblico e si ferma a chiacchierare come in un'abituale serata tra amici, come se fosse una normale fiera di paese e non l'esibizione live solista del cantante dei Rhapsody of Fire, una delle più blasonate band del nostro paese. E scambiando impressioni sulla serata c'è anche l'occasione di conoscere gente nuova unita da una passione per la buona musica che questa sera l'ha condotta fino al tendone di Castelvetro Picentino.

Alla fine della serata mentre lo staff della festa si siede a mangiare dopo aver servito tutti gli avventori ci si ferma a riflettere e si giunge alla conclusione che, contrariamente alla apparenze, il tempo è stato propizio perché ha trasformato un concerto (che sarebbe stato bellissimo in ogni caso) in un evento intimo e raccolto che ci ha consentito di vivere una cena in amicizia ascoltando dell'ottima musica. Ma per trarre il meglio da una serata piovosa e farne una di musica memorabile servono musicisti di altissimo livello, proprio come Giacomo Voli.

giovedì 31 maggio 2018

An interview with Amanda Somerville

An Italian translation is available here.

Multifaceted and hyper-productive metal singer Amanda Somerville is back with the new album by Trillium, the band she fronts, called Tectonic which is being published these days. To discuss her new work and her other projects, Amanda accepted our proposal for an interview that we are offering our readers today.

We would like to thank Amanda for her kindness and availability.


125esima Strada: Hi Amanda, first of all thanks for the time you are giving us. Let's speak about Trillium's new album Tectonic first. To me it's outstanding and it's maybe your best record so far, how was this record conceived and written?

Amanda Somerville: Thank you for your interest and I’m very happy to hear you appreciate Tectonic! It was quite the labor of love, taking a long time to create. In the time since Alloy came out, I got married, had three kids, went on many tours and released several other albums, like Kiske/Somerville and Exit Eden, so there was a lot going on. Tectonic is a lot about all of what went on in those years and trying to make room for everything in my life, especially the big change of becoming a mother. I think it’s always life-changing and a huge adjustment to have a child, no matter who you are, but combining a career - especially a music career - with that is an incredible challenge. The first year after my first daughter, Lana, was born, I pretty much only wrote lullabies and silly children’s songs. Full Speed Ahead has a lot of race car metaphors in it, but it’s basically about me waking up one morning and realizing, "Whoa. I need to get back to myself as a songwriter and serious musician!"

My husband, Sander, and I wrote, produced and recorded everything you read and hear on the album almost entirely on our own. It was a major undertaking and yet immensely gratifying because we work so well together and love what we do. We are both really happy with how it turned out. For many songs, Sander had composed and tracked instrumental demos that we then reworked together and I wrote the lyrics and vocal lines to. Sander was in charge of the main part of the the production to get the instrumentals polished up. There were some songs that began differently, like Shards, which I had written and recorded as a piano-vocal demo and then we re-worked the arrangement and Sander laid down the instrumental tracks. Nocturna began as an acoustic guitar-vocal demo by a friend of mine from my hometown in Flint, Michigan, named Ashley Peacock. But everything ended in the same way, with hard work and wonderful musicians, just as you hear it on the album!

Of course there’s the geological definition in relation to a figurative meaning in my life as a reason for my naming the album Tectonic, but it’s also having to do with art and architecture and the combination of various elements in order to make a new work of art or structure. This album is combining so many elements and experiences from my life that span the last seven years that it’s really an incredible structure for me to present to everyone. I’m so very proud of it.


125esima Strada: Is there any song in Tectonic you like better than the others? If so, why?

Amanda Somerville: You know, it’s always been difficult for me to choose favorites amongst my songs because they’re kind of like children to me. They’re all special to me for different reasons, so I’ll just take a few as examples and tell you why.

Time To Shine - I chose this to be the opener because I think it epitomizes what I set out Tectonic to be: heavy sounding with a positive and uplifting spirit. It’s about keeping on working to fulfill your dreams, staying true to yourself in the process and not letting anyone stand in the way.

Shards - This could have been the opening track because it’s really the song that transitions the restlessness and emotions from Alloy, leaving that behind and beginning anew with everything in Tectonic. I love the song and it means so much because, after writing it, I felt free of all of the darkness in Alloy.

Fatal Mistake - This is probably the saddest and heaviest song on Tectonic and I will NEVER play it live because it was so difficult to even record for me, but I still love it. My music is like therapy to me and my songs are like a journal in many ways, this being no exception. I wrote it after my friend and bandmate Simon Oberender committed suicide just before we were going on tour with Trillium in 2012. Tectonic is dedicated to him.


125esima Strada: My favorite song is Eternal Spring because it shows both sides of your voice: the power and the sweetness. What's the story behind this song?

Amanda Somerville: That’s wonderful, thank you! I co-wrote that with Yves Huts, who was the original bass player in Epica, along with another song that’ll probably be on my next solo album (whenever that’ll get done!). He sent me the instrumental demo track and then I wrote lyrics and the vocal lines and tracked some vocals. He really liked it and actually ended up using it as a wedding song for his brother. It’s definitely a love song!


125esima Strada: If we compare Tectonic to Alloy it seems that this new record is more metal oriented. Do you agree? If so, what's the choice behind this?

Amanda Somerville: Yes, definitely. My husband is the metal child of all metal children and so anything he touches is bound to end up very “metalized”! Haha! Since my background is really more folk / pop / rock, that’s how most of my songs start out sounding. I’m also a piano player, not a guitar player, so my songs needed him to bring out the edge and create a heavier sound. We both wanted this album to be more “pure” in the metal genre than Alloy was, which was kind of a mixing transition for me.


125esima Strada: How do you explain that your pop and jazz oriented solo records are so different from Trillium's albums and from pretty much everything else that you do?

Amanda Somerville: Well, that was really how I grew up as a musician and is my foundation, where I come from. Even though I’ve lived in Europe for many years and I’m fluent in various languages, my mother tongue is and always will be English. I feel that’s very similar to my musical path; I’ll always be a “singer-songwriter,” but I’ve also added hard rock and metal to my musical being.


125esima Strada: One of my favorite records of yours is Heroes Temporis by Magni Animi Viri. How did you get involved in that project and how do you like the original Italian version?

Amanda Somerville: Oh, yes, that’s really a great album. I got involved just like I have with many other bands and projects; Giancarlo [Trotta, producer of Heroes Temporis -- Ed.] contacted me and asked if I would like to be a part of his project. He sent me the original songs and I thought they were really beautiful. I think the original versions are amazing! What a voice Ivana Giugliano has! Really incredible.


125esima Strada: Talking about another of your current projects, will there ever be a second Exit Eden album?

Amanda Somerville: Yes, as a matter of fact, we’re recording it right now!


125esima Strada: I remember you mentioning more the once that you don't consider yourself a metal girl, so apart from metal what other kinds of music do you like?

Amanda Somerville: Haha! Well, I’ve become much more of a “metal girl” than I ever thought I would and have really embraced it. There’s really also no escaping it, living with my husband! I love jazz, specifically old-school, big band and modern easy listening jazz. I also love pop, rock and singer-songwriters like Tori Amos, Imogen Heap and Sarah McLachlan.


125esima Strada: Who are your all time favorite musicians?

Amanda Somerville: Paul Simon is my all-time favorite musician and songwriter. I met him once a long time ago in Hamburg and it was so embarrassing; I was a total fan-girl fail. He actually told me, “It’s all right, it’s all right. Calm down now.” Oh, my God!


125esima Strada: Thanks again, Amanda! It was a privilege speaking to you.

Amanda Somerville: Thank you and all the best!

Intervista ad Amanda Somerville

L'originale inglese è disponibile qui.

La poliedrica e iperproduttiva cantante metal Amanda Somerville è tornata con il nuovo album dei Trillium, la band di cui è la voce principale, intitolato Tectonic che viene pubblicato in questi giorni. Per discutere del suo nuovo lavoro e dei suoi altri progetti, Amanda ha accettato la nostra proposta di un'intervista che offriamo oggi ai nostro lettori.

Ringraziamo Amanda per la sua cortesia e disponibilità


125esima Strada: Ciao Amanda, anzitutto grazie per il tempo che ci stai dedicando. Parliamo come prima cosa del nuovo album dei Trillium Tectonic. Secondo me è ottimo ed è forse il tuo miglior disco fin qui, come è stato concepito e scritto questo disco?

Amanda Somerville: Grazie per il tuo interesse e sono molto felice di sapere che ti piace Tectonic! E' stato davvero un lavoro fatto con amore, la cui creazione ha richiesto molto tempo. Nel tempo che è trascorso da quando è stato pubblicato Alloy mi sono sposata, ho fatto tre figli, sono stata in molti tour e ho pubblicato molti altri album, come Kiske/Somerville ed Exit Eden, quindi sono successe molte cose. Tectonic parla di tutto ciò che è successo in quegli anni e del tentativo di far posto per tutto nella mia vita, specialmente il grande cambiamento di essere madre. Credo che ti cambi sempre la vita e richiede un grande adeguamento avere un figlio, indipendentemente da chi sei, ma combinarlo con una carriera (in particolare una carriera musicale) è una sfida incredibile. Nel primo anno dopo che è nata mia figlia, Lana, ho scritto quasi solo ninne nanne e canzoni sciocche per bambini. Full Speed Ahead contiene molte metafore relative alle corse automobilistiche, ma di base parla di me che mi sveglio una mattina e penso "Whoa. Devo tornare a scrivere canzoni e a fare la musicista seria!"

Io e mio marito, Sander, abbiamo scritto, prodotto e registrato tutto ciò che leggi o senti nell'album quasi completamente da soli. E' stata una grande impresa ma anche immensamente gratificante perché lavoriamo molto bene insieme e amiamo ciò che facciamo. Siamo entrambi molto contenti di come è venuto. Per molti dei pezzi, Sander ha composto e inciso le demo strumentali che abbiamo rielaborato insieme e su cui io ho scritto i testi e le linee vocali. Sander aveva il compito della parte principale della produzione per rifinire le basi strumentali. Ci sono altre canzoni che sono nate in un altro modo, come Shards che ho scritto e registrato come una demo piano e voce e di cui poi abbiamo rielaborato l'arrangiamento e Sander ha scritto le tracce strumentali. Nocturna è nata come una demo chitarra e voce di un mio amico della mia città natale, Flint nel Michigan, che si chiama Ashley Peacock. Ma tutto si è concluso allo stesso modo, con lavoro duro e bravissimi musicisti, così come lo senti nell'album!

Ovviamente c'è la definizione geologica in relazione a un significato figurato nella mia vita che è il motivo per cui abbiamo intitolato l'album Tectonic, ma riguarda anche l'arte e l'architettura e la combinazione di vari elementi in modo da creare un nuovo lavoro d'arte o strutturale. Questo album combina così tanti elementi ed esperienze degli ultimi sette anni della mia vita che è davvero una struttura incredibile per me da presentare a tutti. Ne sono molto orgogliosa.


125esima Strada: C'è qualche pezzo di Tectonic che ti piace più degli altri? Se sì, perché?

Amanda Somerville: Sai, è sempre difficile per me scegliere dei pezzi preferiti tra i miei perché sono tutti un po' come dei figli per me. Sono tutti speciali per motivi diversi, quindi ti faccio solo qualche esempio e ti spiego perché.

Time To Shine - L'ho scelta come traccia di apertura perché penso che sintetizzi ciò che volevo che Tectonic fosse: con un suono pensante e uno spirito positivo. Parla del lavoro duro per realizzare i propri sogni, essere onesti con sé stessi durante il processo e non lasciare che nessuno si frapponga.

Shards - Avrebbe potuto essere la traccia di apertura perché rappresenta proprio la transizione dalle emozioni e dall'irrequietezza di Alloy, lasciandosi tutto ciò dietro e ripartendo da zero con Tectonic. Adoro questa canzone e per me significa molto, perché, dopo averla scritta, mi sono sentita liberata da tutta la cupezza di Alloy.

Fatal Mistake - Questa è probabilmente la canzone più triste e pesante di Tectonic e non la canterò MAI dai vivo perché per me è stato difficile anche registrarla, ma la adoro lo stesso. La mia musica è come una terapia per me e le mie canzoni sono come un diario sotto molti aspetti, e questa non fa eccezione. L'ho scritta dopo che il nostro amico e compagno di band Simon Oberender si è suicidato appena prima di andare in tour con i Trillium nel 2012. Tectonic è dedicato a lui.


125esima Strada: La mia canzone preferita è Eternal Spring perché mostra entrambi gli aspetti della tua voce: la potenza e la dolcezza. Che storia c'è dietro a questo pezzo?

Amanda Somerville: Che bello, grazie! Lo scritta insieme a Yves Huts, che è stato il primo bassista degli Epica, insieme a un altro pezzo che sarà probabilmente sul mio prossimo album solista (quando mai sarà fatto!). Mi ha mandato la demo strumentale e poi ho scritto il testo e le linee vocali e ho registrato parte della voce. Gli è piaciuto molto e l'abbiamo usata come canzone per il matrimonio di suo fratello. E' decisamente una canzone d'amore!


125esima Strada: Se confrontiamo Tectonic e Alloy sembra che questo nuovo disco sia più orientato al metal? Sei d'accordo? Se sì, che scelta c'è dietro?

Amanda Somerville: Si, sicuramente. Mio marito è il figlio del metal tra tutti i figli del metal e così tutto ciò che tocca è destinato a finire molto "metallizzato"! Siccome il mio background è più folk / pop / rock, molte delle mie canzoni all'inizio suonano così. Inoltre io sono una pianista, non una chitarrista, quindi le mia canzoni hanno bisogno di lui perché ne tiri fuori gli spigoli o per creare un suono più duro. Entrambi volevamo che questo album fosse di un metal più "puro" rispetto ad Alloy, che per me è stato un po' di transizione.


125esima Strada: Come spieghi che i tuoi album solisti orientati al pop e al jazz sono così diversi dagli album dei Trillium e da più o meno qualunque altra cosa tu abbia fatto?

Amanda Somerville: Beh, quello è proprio come io sono cresciuta come musicista e sono le mie fondamenta, da dove arrivo. Anche se vivo in Europa da molti anni e parlo fluentemente molte lingue, la mia lingua madre è e sarà sempre l'inglese. Credo che sia molto simile al mio percorso musicale; sarò sempre una cantautrice, ma ho aggiunto anche l'hard rock e il metal alla mia essenza musicale.


125esima Strada: Uno degli album che preferisco della tua discografia è Heroes Temporis dei Magni Animi Viri. Come sei stata coinvolta nel progetto e cosa pensi della versione italiana?

Amanda Somerville: Oh, sì, è veramente un ottimo album. Sono stata coinvolta come mi succede di solito con altre band o progetti; Giancarlo [Trotta, produttore di Heroes Temporis - N.d.R.] mi ha contattato e mi ha chiesto se volevo far parte del suo progetto. Mi ha mandato le canzoni originali e ho pensato che fossero davvero bellissime. Credo che le versioni originali siano stupende! Che voce che ha Ivana Giugliano! Davvero incredibile.


125esima Strada: Parlando di un altro dei tuoi progetti attuali, ci sarà mai un secondo album delle Exit Eden?

Amanda Somerville: Si, e di fatto lo stiamo registrando proprio adesso!


125esima Strada: Ricordo di averti sentito dire più di una volta che non ti consideri una metal girl, quindi a parte il metal che altri generi musicali ti piacciono?

Amanda Somerville: Haha! Beh, sono diventata una metal girl molto più di quanto pensassi e ho proprio abbracciato questo genere. Non puoi sfuggirne, vivendo con mio marito! Adoro il jazz, nello specifico l'old school, le grandi orchestre e il jazz easy listening moderno. Amo anche il pop, il rock e le cantautrici come Tori Amos, Imogen Heap e Sarah McLachlan.


125esima Strada: Chi sono i tuoi musicisti preferiti di ogni tempo?

Amanda Somerville: Paul Simon è il mio musicista e autore preferito di ogni tempo. Lo incontrai molti anni fa ad Amburgo ed è stato imbarazzante; è stato un vero fan-girl fail. Mi ha proprio detto "Va tutto bene, va tutto bene. Calmati adesso." Oh, mio Dio!


125esima Strada: Grazie ancora, Amanda! E' stato un onore parlare con te.

Amanda Somerville: Grazie a te e ti auguro il meglio!

giovedì 24 maggio 2018

Perché i Black Sabbath si chiamano così?

I Black Sabbath sono una delle band più note al mondo essendo stati tra i gruppi che negli anni 70 hanno forgiato il suono del rock dei decenni successivi, gettando anche le basi dell'heavy metal, che in quel periodo muoveva i primi passi. Se la loro carriera è notissima a chiunque e se la band non ha certo bisogno di presentazioni, è invece poco noto da dove il quintetto di Birmingham abbia tratto il proprio nome.

Come raccontato dal chitarrista Tony Iommi nella sua autobiografia intitolata Iron Man: My Journey Through Heaven and Hell with Black Sabbath pubblicata nel 2011 e anche da Ozzy Osbourne in I Am Ozzy del 2009, la band in origine si chiamava Earth, ma si vide costretta a cambiare nome dopo che in un concerto a Carlisle, vicino a Manchester, nel 1969 furono scambiati per un'altra band con lo stesso nome. Dopo che salirono sul palco e iniziarono a suonare, l'organizzatore li interruppe costringendoli ad abbandonare la scena, perché in realtà si aspettavano il gruppo omonimo che avrebbe dovuto interpretare pezzi pop come Mellow Yellow o California Dreamin'.

La band capitanata da Ozzy e Iommi decise quindi di assumere come proprio nome il titolo di quello che era, nelle esibizioni dal vivo, il loro pezzo di maggior successo, ovvero Black Sabbath, che l'anno dopo sarebbe anche diventato il titolo del primo LP.

Iommi e Ozzy spiegano che il pezzo nacque da un'idea del bassista Geezer Butler che trasse l'ispirazione dalla locandina di un film che veniva proiettato in un cinema che si trovava nelle vicinanze della loro sala prove. Il film in questione era I Tre Volti Della Paura del regista italiano Mario Bava e interpretato da Boris Karloff che i distributori d'oltremanica tradussero appunto con il titolo di Black Sabbath.


Come è abbastanza evidente la traduzione del titolo è molto libera. Il motivo per cui usarono un titolo così diverso dall'originale e slegato dal film è che i distributori inglesi tentarono di sfruttare il successo di un altro film di Bava, La Maschera Del Demonio, che nel Regno Unito era stato distribuito come Black Sunday, ma ovviamente i due film non hanno alcun legame se non il fatto di essere opera dello stesso regista.

Curiosamente i Black Sabbath non furono l'unico gruppo a pubblicare un pezzo intitolato Black Sabbath in quegli anni. Infatti nel 1969, cioè l'anno prima dell'uscita del primo album della band di Ozzy, gli americani Coven incisero un pezzo intitolato Black Sabbath per il loro primo album Witchcraft Destroys Minds & Reaps Souls. Gli strani incroci del destino tra le due band non si esauriscono qui; infatti il bassista dei Coven si chiama Greg Osbourne e usa da sempre il soprannome di Oz Osbourne. Tuttavia le sonorità delle due band sono molto diverse, basti pensare che la voce principale dei Coven è una donna, e Ozzy utilizza tale soprannome dalla scuola elementare (come spiegato nella già citata autobiografia), pertanto le presunte somiglianze tra le due band sono solo un caso.

Tuttavia all'uscita del primo album della band di Ozzy, il celebre critico Lester Bangs lo stroncò con un duro articolo su Rolling Stone che, in riferimento alle tematiche trattate e ai rimandi all'occultismo, definisce i Black Sabbath "England's answer to Coven".

Ma nonostante la grandezza dell'autore, le sue previsioni si rivelarono abbondantemente sbagliate. I Black Sabbath sono tuttora universalmente riconosciuti come una delle band più influenti del pianeta, mentre i Coven restano una buona band con pochi album all'attivo e ben lontani dalla fama di Ozzy, Iommi e dei loro soci.

sabato 19 maggio 2018

Giacomo Voli - Monticelli d'Ongina, 18/5/2018

Il cortile del palazzo Tredicini-Archieri di Monticelli d'Ongina è la location perfetta per un concerto in una fresca serata di primavera. Se poi l'artista che si esibisce è una delle migliori voci del panorama rock mondiale, il concerto diventa un evento imperdibile e la fortuna che sia vicino a casa fa sì che ci si metta in macchina volentieri per partecipare a quella che sarà una serata di grande musica.

Mentre per le strade del paese, che nonostante sia poco noto è di una bellezza mozzafiato, si svolge l'annuale Festa dei Fiori, il cortile ospita il live di Giacomo Voli con la sua band rinnovata che è solo alla seconda esibizione dal vivo con questo straordinario vocalist che alterna la sua attività solista a quella di frontman dei Rhapsody of Fire.

La serata è stata aperta dal Quartetto Bazzini che ha scaldato il pubblico interpretando alcuni classici del rock dei decenni scorsi, attingendo dalla discografia di gruppi come Metallica e Queen, con due violini, viola e violoncello, senza rinunciare a un tocco di classicità con il Canone di Pachelbel, prima di lasciare la scena al quintetto di Giacomo Voli.

La GV Band è salita sul palco poco prima delle 23 per regalare al pubblico un'altra serata di rock indimenticabile. La voce di Voli è semplicemente perfetta e inarrivabile per potenza ed estensione, e a Monticelli d'Ongina ha dato anche prova di incredibile versatilità spaziando tra generi e decenni diversi come pochissimi sanno fare. Anche la band si muove alla perfezione e nonostante sia alle prime esibizioni insieme sembra avere l'intesa delle band più navigate. Il gruppo ha interpretato i pezzi dei primi due dischi del cantante di Correggio, Ancora Nell'Ombra del 2015 e il nuovissimo Prigionieri Liberi, con l'aggiunta di alcune cover reinterpretate nel loro stile, qualche sperimentazione tra medley e mash-up e tanta simpatia da parte del cantante che alterna al canto un po' di umorismo che non guasta e rende il tutto più divertente.

Il concerto si apre con la travolgente Un Capitale e poco dopo l'inizio Voli propone la prima rielaborazione con un medley tra Segni di Tregua e Charlie Big Potato degli Skunk Anansie. Circa a metà dell'esibizione Giacomo mostra il lato più "dolce" (come lui stesso l'ha definito) della propria musica con un momento in acustico in cui si accompagna da solo alla chitarra per qualche pezzo più raccolto, come Il Libro dell'Assenza, Ridi Nel Tuo Caffè e The Magic of The Wizard's Dream dei Rhapsody of Fire.

Nella seconda parte de concerto il gruppo interpreta anche le cover di Ti Sento dei Matia Bazar e Impressioni di Settembre della PFM che Voli ha inciso anche nei propri dischi in studio. Poco prima della chiusura il quintetto omaggia la cantante Elisa con due sue cover. La prima è Luce che la GV Band trasforma in un pezzo hard rock mostrando lati inediti di un pezzo famosissimo e risvolti a cui neppure gli autori originali avevano pensato, l'esperimento è riuscito alla grande e il pubblico lo apprezza anche se Giacomo definisce scherzosamente la propria versione "un abominio". La seconda è Labyrinth che si apre con un bellissimo vocalizzo iniziale, che Voli impreziosisce con le sue doti canore, e che qui viene eseguita in un'inedita versione in un mash-up con Kashmir dei Led Zeppelin.

Giacomo chiude il live con tre pezzi proprio del quartetto capitanato da Robert Plant che esegue in rapida successione. Si parte con Black Dog per poi passare a Rock And Roll, che interpretata da Voli dà sempre un'emozione particolare perché rimanda la memoria alla Blind Audition di The Voice of Italy di quattro anni fa che cambiò la storia del rock del nostro paese, e si chiude con Whole Lotta Love.

Al termine del concerto Giacomo non si fa attendere e gira nel pubblico scambiando battute, strette di mano e concedendosi alle foto di chi le chiede, dimostrando il lato umano di un talento straordinario che nonostante il successo e le capacità ineguagliate mantiene un'umiltà davvero unica. Che una leggenda del rock venga a ridere e scherzare con il pubblico non succede tutti i giorni, ma Giacomo Voli è così.

Purtroppo il concerto è finito, e la notte è piuttosto fredda per essere metà maggio, per non lasciare le emozioni del cortile di Monticelli sulla strada verso casa girano ancora nell'autoradio Ancora Nell'Ombra e Prigionieri Liberi, perché la serata è stata memorabile e almeno facciamo finta che prosegua fino a casa.

Grazie Giacomo, grazie GV Band. Alla prossima!

venerdì 11 maggio 2018

The Dead Daisies Burn It Down Tour - Trezzo sull'Adda, 9/5/2018

Non ero mai stato al Live Club di Trezzo sull'Adda, nonostante sia uno dei locali più famosi del milanese tra quelli in cui passano le leggende del rock nei loro tour europei. Il 9 maggio del 2018 il programma prevedeva il live dei Dead Daisies, uno dei gruppi più interessanti del panorama hard rock mondiale e l'occasione era ghiotta per vedere questo leggendario posto e per vedere dal vivo questo quintetto straordinario.

Credit: Tino
In una giornata passata da un caldo africano alla pioggia battente nel giro di poche ore, lo show è stato introdotto da un gruppo di apertura di altissimo livello, con i tedeschi New Roses che hanno regalato alla folla un'ora di ottimo rock dal buon equilibrio tra sonorità dure, melodia e qualche sfumatura di southern.

Poco dopo le 21 è salito sul palco il gruppo guidato da John Corabi che ha aperto con Resurrected, dal nuovo album Burn It Down, per iniziare due ore di rock folle e forsennato, fatto da una sana combinazione di energia e allegria senza sosta. Il gruppo ha scelto sapientemente la scaletta attingendo dagli ultimi tre album (quelli che vedono Corabi alla voce) e prendendo solo i pezzi più energici, quelli che infiammano la folla come Make Some Noise, Can't Take It With You e Song and a Prayer. Mexico, proposta come sesta, è il pezzo che accende di più la folla e l'energia non si spegne mai, fino al finale introdotto da Long Way To Go.

Il gruppo sul palco si muove con una maestria che pochi hanno, la macchina musicale si muove alla perfezione e l'esecuzione è impeccabile in ogni momento dell'esibizione. Del resto questo quintetto è composto da musicisti di grandissima esperienza e successo, e se la definizione di supergruppo inizia ad andare stretta a un combo di musicisti che sforna (tra registrazioni in studio e live) un album all'anno possiamo dire con sicurezza che i Dead Daisies sono un vero dream team dell'hard rock.

Corabi domina la scena e caratterizza ogni pezzo con la sua potenza vocale e con gli stessi acuti dei tempi in cui militava nei Mötley Crüe. Marco Mendoza interpreta appieno il ruolo di vice frontman ed è consapevole di essere quello che raccoglie più attenzione insieme al cantante. Il bassista lancia decine di plettri tra la folla che fa a gara per raccoglierli, scende dal palco e passeggia in mezzo al pubblico mentre suona (tanto che io stesso gli ho toccato una spalla e una ragazza poco distante gli ha stampato un bacio su una guancia) e soprattutto ricopre il ruolo principale nelle seconde voci in cui di solito esegue la voce alta lasciando a Corabi quella bassa.

I Dead Daisies chiudono la serata con la cover di Highway Star dei Deep Purple che non hanno mai inciso in studio ma che eseguono spesso dal vivo a coronare una serata memorabile, con tanto rock di altissimo livello, fresco e divertente, eseguito come meglio non si potrebbe.

Nel frattempo fuori ha smesso di piovere, ma il caldo del pomeriggio ha lasciato il posto a una notte piuttosto fredda per la stagione, e mentre lasciamo il Live Club verso l'autostrada resta il ricordo di un concerto superlativo e la consapevolezza di avere appena visto in azione cinque tra i migliori musicisti di ogni epoca.

Grazie Live Club, grazie New Roses e soprattutto grazie Dead Daisies. Alla prossima!

lunedì 16 aprile 2018

The Dead Daisies - Burn It Down

Il 2018 vede il ritorno dei Dead Daisies con un nuovo album in studio intitolato Burn It Down che esce a meno di due anni dal precedente Make Some Noise e a solo uno dal live Live & Louder. Vista la frequenza delle pubblicazioni del combo guidato da John Corabi appare evidente che l'etichetta di supergruppo inizi ad andare un po' stretta a una band che di fatto sforna più album di molte formazioni permanenti e che spesso porta la propria musica sui palchi di arene e palazzetti in lunghe tournée planetarie.

Rispetto all'album precedente la formazione vede un solo cambio, con il batterista Deen Castronovo che prende il posto di Brian Tichy e che contribuisce a formare un cast di stelle assolute dell'hard rock insieme a David Lowy alla chitarra ritmica, Doug Aldrich alla chitarra solista, Marco Mendoza al basso e John Corabi alla voce.

In questo nuovo LP la band propone di nuovo il proprio suono distintivo fatto di un hard rock ispirato ai classici degli anni 70, ricco di sfumature di blues e soprattutto fatto per divertire con sonorità veloci e fracassone. Il disco è composto da dieci pezzi più una bonus track presente solo nell'edizione su CD. Come è ovvio e naturale attendersi, l'album vede una preponderanza di pezzi veloci ed energici; tra questi troviamo le due tracce che aprono l'album subito su ritmi molto sostenuti quali Resurrected e Rise Up. Tra i migliori pezzi veloci spiccano anche Dead And Gone in cui Corabi tira fuori il meglio delle sue doti vocali rimaste troppo a lungo adombrate dall'essere considerato il sostituto temporaneo di Vince Neil (al quale Corabi è in realtà molto superiore). Meritano una menzione anche la velocissima Leave Me Alone, che propone sonorità più vicine all'hair metal degli anni 80, e l'aggressiva Can't Take It With You.

Nell'album non mancano momenti più tranquilli con la titletrack che presenta sonorità blues molto marcate e con la ballad dal sapore southern intitolata Set Me Free.

Come anticipato nella versione fisica troviamo una bonus track, ovvero la cover di Revolution dei Beatles (che ovviamente non c'entra nulla con l'album Revolución dei Dead Daisies del 2015, che tra l'altro non aveva una title track), di cui il quintetto lascia inalterata la melodia incalzante e ribelle condendola con chitarre distorte e con il ritmo potente della batteria che ne sottolinea l'incedere deciso.

E' ovvio che siamo davanti a un disco che ripropone stilemi e del passato e che non offre grandi novità in termini sonori, ma non sarebbe neanche corretto aspettarselo dai Dead Daisies la cui missione è ovviamente quella di produrre musica di facile presa e divertente che regali un'ora di atmosfere allegre e festaiole. E se questo è lo scopo di Burn It Down, il risultato raggiunto dalla band con il loro quarto album centra in pieno l'obiettivo.

mercoledì 27 dicembre 2017

Twisted Sister - A Twisted Christmas

Nel 2006, a due anni dalla reunion avviata con l'album Still Hungry, i Twisted Sister, band storica dell'hair metal degli anni 80, tornarono in studio per un nuovo album, il settimo della loro carriera; ma anziché realizzare un nuovo disco di inediti il gruppo fece la strana e coraggiosa scelta di incidere un album di canti natalizi reinterpretati secondo il loro stile allegro e fracassone.

L'album che uscì da questa sperimentazione si intitola A Twisted Christmas e raccoglie dieci classici della tradizione natalizia a cui la band di Dee Snider lascia immutata la melodia ma la condisce con suoni potenti e sopra le righe a cui si somma l'energico cantato del vocalist che non si prende mai troppo sul serio. Il risultato è uno dei migliori album di Natale mai realizzati e anche uno dei migliori dischi della lunga carriera dei Twisted Sister; l'LP non conosce un attimo di noia e intrattiene e diverte senza sosta dalla prima all'ultima traccia. E' difficile trovare pezzi migliori di altri perché questo è un album di altissimo livello nella sua interezza, se proprio dovessimo sceglierne un paio spiccherebbero Oh Come All Ye Faithful, ispirata in modo non troppo velato a We're Not Gonna Take It dall'album Stay Hungry del 1984 (fatto che non stupisce, visto che per ammissione dello stesso Snider il loro storico pezzo prese la sequenza degli accordi proprio da Adeste Fideles), la graffiante e veloce versione di White Christmas e la poderosa Silver Bells il cui controcanto sul ritornello è eseguito da tutta la band.

Questo capolavoro della musica natalizia vede la presenza di Lita Ford come ospite in I'll Be Home For Christmas e la versione europea del disco include anche il duetto con Doro Pesch in White Christmas, che nella versione americana è cantata dal solo Snider. Sempre nella versione europea troviamo come bonus track la versione spagnola di White Christmas cantata dal chitarrista Eddie Ojeda che ripropone la base grintosa della versione in inglese con un cantato meno convincente di quello di Snider, ma non per questo meno divertente.

A Twisted Christmas è un disco semplicemente perfetto che non annoia nemmeno al centesimo ascolto, che diverte unendo due universi musicali all'apparenza così lontani, e che dà prova della creatività di Snider e della sua band che sa trasformare classici lontanissimi dall'hair metal nel loro stile, senza tradirne l'essenza ma dando loro dei risvolti nuovi. Di album natalizi in stile hard and heavy ce ne sono molti, e chi preferisce l'approccio scherzoso e spensierato dei Twisted Sister resterà favorevolmente sorpreso da questo fresco e frizzante album da ascoltare durante le feste invernali.

venerdì 8 dicembre 2017

A.A. V.V. - Monster Ballads Xmas

Nel 2007 la serie di compilation intitolata Monster Ballads è arrivata al suo quarto volume con un disco di incisioni nuove realizzate apposta per l'occasione in cui dodici famosi interpreti della scena hard and heavy degli anni 80 e 90 reinterpretano i classici della tradizione natalizia. Tra le band e i cantanti coinvolti in questa impresa troviamo gli Skid Row che interpretano Jingle Bells, Kip Winger (frontman dell'omonima band) che interpreta Happy Christmas (War Is Over), Run Rudolph Run degli L.A. Guns, Blue Christmas cantata da Tom Keifer dei Cinderella e molti, molti altri.

La formula del disco è molto semplice: i brani originali vengono reinterpretati lasciando le melodie immutate ma interpretate in chiave hard rock con i suoni potenti e allegri. Il risultato è sicuramente efficace e divertente, vista sia la qualità dei pezzi scelti che quella dei gruppi e dei cantanti coinvolti. Tra i pezzi migliori troviamo sicuramente Jingles Bells, che nell'interpretazione degli Skid Row assume un sapore punk e Santa Claus is Coming to Town interpretata dai Dokken con la potente voce di Don Dokken che è uno dei migliori vocalist presenti in questa compilation.

Degne di nota anche White Christmas interpretata dai Queensrÿche in cui Geoff Tate dà prova delle sue capacità canore anche in un classico natalizio, e Blue Christmas in cui Tom Keifer mostra un lato poco consueto della sua vocalità, in un canto normale anziché nelle note altissime al limite dello scream che eseguiva ai tempi dei Cinderella.

L'unico pezzo non inedito presente sul disco è I'll Be Home for Christmas dei Twisted Sister con Lita Ford, tratto dall'album natalizio della band A Twisted Christmas uscito l'anno prima.

Monster Ballads Xmas è una buona alternativa da ascoltare durante il pranzo di Natale e da inserire in mezzo a compilation più classiche come quelle di Mariah Carey o Whitney Houston, per cambiare un po' il suono e anche per ricordare che i classici hanno sempre innumerevoli risvolti e che sono stupendi anche cambiandone radicalmente l'approccio.


mercoledì 4 ottobre 2017

Giacomo Voli - Prigionieri Liberi

Giacomo Voli non è più solo un cantante uscito da un talent show ma è ad oggi una delle più importante realtà del rock italiano, a tre anni dalla sua esperienza a The Voice il cantante di Correggio è infatti oggi la voce maschile dei TeodasiA, con cui ha inciso nel 2016 l'album Metamorphosis, e il frontaman dei Rhapsody of Fire, la formazione metal più gloriosa del nostro paese in cui ha sostituito egregiamente il leggendario Fabio Lione, con cui ha realizzato un album di nuove versioni di pezzi editi intitolato Legendary Years.

Nonostante gli impegni con le due band, Giacomo non trascura la propria carriera solista che lo vede produrre dell'ottimo rock in italiano e a due anni e mezzo dall'EP di esordio Ancora nell'Ombra ha appena pubblicato il suo primo LP intitolato Prigionieri Liberi. Il disco è composto da otto tracce di puro rock, spesso ai confini con l'hard rock e ricche di venature prog. I pezzi sono stati scritti, nelle musiche e nei testi, dallo stesso Voli e da Daniela Ridolfi che è anche produttrice del disco e hanno come caratteristica principale quella di mettere in luce l'incredibile estensione vocale del cantante e di mostrarne le notevoli capacità.

L'album si apre con l'aggressiva Esasperante, che con un testo graffiante su una base ricca di distorsioni narra del rapporto contrastato con la donna amata la cui gelosia è soffocante. La seconda traccia dal titolo Segni di Tregua prosegue su atmosfere simili, con un'altra base sostenuta ed energica a creare un brano che descrive la strana prossimità dell'amore e del dolore.

Tra i brani energici troviamo anche Templi Moderni, una critica sferzante alla spettacolarizzazione del vuoto nei media e ai talent show (e non solo quelli canori), e la title track in cui compare come ospite Giulia Dagani, il pezzo narra del senso di oppressione di chi è costretto a vivere situazioni di facciata che costringono a indossare maschere in pubblico e a negare la propria vera identità. Il pezzo è impreziosito dai duetti dei due cantanti che si integrano perfettamente con Giacomo che fa le voci alte e Giulia quelle basse.

Il disco lascia molto spazio anche a momenti più melodici e intimistici. Troviamo infatti una sorta di preghiera salmodica in Non Ci Pensi Mai e due ballad quali L'Ultimo Frame e Il Libro dell'Assenza, quest'ultima è in particolare uno dei pezzi migliori dell'album grazie all'atipico fischio che introduce le strofe e al testo toccante che descrive il desiderio di rivedere la donna amata dopo un periodo troppo lungo di allontanamento; la melodia del pezzo ne fa l'unica vera power ballad mai incisa in italiano.

Completa il disco la cover di Ti Sento dei Matia Bazar, che Voli aveva già interpretato nei suoi live con la GV Band, che trasforma un brano pop in uno hard rock sostenuto dal suono potente delle chitarre, mantenendone la melodia originale.

Questo primo album conferma che Giacomo Voli è una delle realtà più interessanti del panorama rock nostrano. Ciò che colpisce di questo straordinario vocalist è l'incredibile versatilità, che gli consente di passare dal power metal alle cover della tradizione italiana traendo il meglio della propria incredibile voce in ogni occasione

Musicisti come Giacomo Voli sono tesori preziosi per la nostra nazione che grazie a un numero veramente ristretto do personalità di questo calibro può continuare a produrre ottima musica, proprio come Prigionieri Liberi.

Non resta che godersi l'ascolto di questo album, in attesa del prossimo disco di inediti dei Rhapsody of Fire.

mercoledì 23 agosto 2017

Cinema e musica: Morte a 33 Giri

Negli anni 80 il cinema horror e la musica heavy metal vissero un periodo di particolare splendore. Nel 1986 il regista e attore Charles Martin Smith decise di unire questi due filoni realizzando il film Morte a 33 Giri (Trick or Treat in originale) in cui horror e metal si uniscono per una pellicola divertente e intrisa di hard & heavy.

Il film narra la storia di un ragazzo appassionato di metal, Eddie Weinbauer interpretato da Marc Price (noto anche per aver ricoperto il ruolo di Skippy nella serie televisiva Casa Keaton) che riceve in dono dall'amico Nuke, DJ di una radio locale interpretato da Gene Simmons, il nuovo album inedito su disco acetato del suo cantante preferito, Sammi Curr, recentemente scomparso.

Il disco porta l'eloquente titolo Songs in the Key of Death ed Eddie scopre che facendolo girare al contrario può dialogare con il cantante deceduto. Curr dall'oltretomba lo aiuta a vendicarsi degli scherzi che subisce da alcuni bulli della scuola. Sulle prima Eddie si gode le proprie rivincite, ma quando il gioco di Sammi diventerà troppo pesante, il giovane dovrà ribellarsi al suo idolo.

Il film è ovviamente ricco di musica hard & heavy e di rimandi ai gruppi musicali di quel periodo. Nella stanza di Eddie si trovano infatti poster, foto e dischi di band come gli Anthrax, i Raven, i Judas Priest, i Megadeth e molti altri. Inoltre, oltre a Gene Simmons, anche Ozzy Osbourne compare in alcune scene nei panni di un predicatore televisivo che condanna i testi violenti dell'heavy metal.

Il film, come è ovvio, gioca molto sui presunti legami tra occultismo e musica metal e sui messaggi subliminali che secondo una popolare leggenda metropolitana si potrebbero ascoltare facendo girare i vinili al contrario. Del resto molte band di quel periodo scherzarono sugli stessi argomenti usando un look cimiteriale fatto di teschi, abiti neri e immagini tratte dall'immaginario horror.

La colonna sonora del film è affidata interamente ai britannici Fastway che cantano i pezzi di Sammi Curr. L'album è la perfetta controparte musicale del film, improntata su un rock rapido, energico, divertente e di facile presa. Il disco è composto di nove pezzi di cui sette veloci e due lenti intitolati Heft e If You Could See a chiudere il disco. Tra le nove tracce spicca sicuramente il brano di apertura Trick or Treat che nel film viene eseguito da Sammi Curr nella sua esibizione dal vivo nella notte di Halloween di ritorno dall'oltretomba. Degno di nota è anche After Midnight, ascoltabile nel film durante i titoli di coda.

L'album è contraddistinto anche da una piccola nota umoristica: il libretto che accompagna il disco reca infatti  la scritta This album is dedicated to the memory of Sammi Curr, ma il cantante ovviamente non é mai esistito.

Morte a 33 Giri è un ottimo prodotto di un decennio dorato ricco di divertimento e spensieratezza i cui fasti non sono mai stati ripetuti, il film sicuramente non scontenterà né gli amanti dell'horror né quelli del buon hard rock di quel periodo. Guardandolo oggi resta forse un po' di nostalgia nel constatare come il talento di allora sembra essere perso in entrambe le correnti.