giovedì 22 settembre 2016

Cosa significa il nome Kiss?

Secondo una popolare leggenda metropolitana il nome della band Kiss significherebbe Knights In Satan's Service. Prima ancora di andare a vedere qual è la vera origine del nome scelto dalla band guidata da Paul Stanely e Gene Simmons sarebbe interessante che chi crede a questa teoria spiegasse dove vede dei rimandi satanici nell'attività dei Kiss, visto che la loro musica parla di norma di feste, divertimento e di amore.

Ma se il buon senso non basta, ci sono comunque smentite dettagliate e spiegazioni da parte dei fondatori del gruppo. Nella sua autobiografia Face the Music: A Life Exposed pubblicata nel 2014 Paul Stanley scrisse di aver sentito queste teorie per la prima volta nel 1977 e di aver deciso, dopo averle ignorate per un po', di volerle combattere affinché il nome della sua band non venga infangato da accuse infondate. We were not knight in Satan's service, devil worshipers on anything else chiarisce il cantante.

Nel libro Kiss And Make-Up uscito nel 2002 anche Gene Simmons smentisce queste voci aggiungendo che queste nacquero in seguito a una sua intervista alla rivista Circus in cui disse che talvolta si chiede che sapore abbia la carne umana, ma precisando che si trattava solo di una curiosità, non di qualcosa che avrebbe voluto sperimentare. Questa asserzione, unita alla sua usanza di fare il gesto delle corna portò alcuni a ritenere che Simmons fosse un adoratore del demonio.

Una terza smentita arriva anche dal chitarrista Ace Frehley che nella sua autobiografia No Regrets pubblicata nel 2011 chiarisce il concetto in modo più esplicito dei due colleghi: Complete and utter bullshit.

Sgombrato il campo dalle leggende, il vero significato del nome è spiegato nella biografia ufficiale dei gruppo intitolata Behind the Mask pubblicata nel 2003. Il nome Kiss è effettivamente un acronimo, ma significa Keep It Simple, Stupid.

Un'altra popolare leggenda riguardo i Kiss vuole che la doppia S nel logo sia disegnata in modo da ricordare il simbolo delle SS naziste. La bozza iniziale del logo fu disegnata da Ace e poi completata da Stanley. In realtà, come spiegato di nuovo da Frehley in No Regrets le due S volevano essere due fulmini senza altri significati, tuttavia Stanley (che si dice molto sensibile all'argomento in quanto di famiglia ebrea) spiega che anche suo padre fu ingannato dal disegno e pensò che ci fossero significati nazisti. La band fu comunque costretta a modificare il proprio logo in Austria, Svizzera, Polonia, Lituania, Ungheria e Israele sostituendo le due S con delle Z rovesciate e a distanza di quattro decenni dall'inizio della sua carriera la band usa ancora un logo diverso in questi stati. Basta confrontare, ad esempio, le copertine di Monster per rendersi conto di ciò.


Purtroppo accuse infondate di questo tipo, sia quelle legate al satanismo sia quelle legate al nazismo, possono infangare il nome di una band e arrecare danno a chi, come i Kiss, davvero non se lo merita. E in questo caso le leggende non aiutano a creare un'aura di mistero intorno alla musica, servono sono a screditare una delle più grandi band della storia.

venerdì 16 settembre 2016

Gli album dei Doors successivi alla morte di Jim Morrison

Contrariamente a quanto comunemente si crede L.A. Woman non è l'ultimo album in studio dei Doors e la morte di Jim Morrison non ha terminato la carriera della band. Dopo la scomparsa del loro storico leader infatti la band ha registrato altri due album in cui alla voce si alternano Ray Manzarek e Robby Krieger.

Il primo dei due album intitolato Other Voices uscì il 18 ottobre del 1971 (incredibilmente, solo due giorni dopo la pubblicazione del 45 giri di Riders on the Storm) ed è composto da otto brani di cui cinque cantati da Manzarek, due da Krieger e uno da entrambi. Il disco prosegue sulla strada del rock psichedelico ma cambiando radicalmente approccio e avvicinandosi più al periodo psichedelico dei Beatles piuttosto che alle produzioni precedenti dei Doors, del resto la voce di Manzarek se da una parte tenta di ricalcare lo stile di Morrison è anche molto simile a quella di Paul McCartney. In questi due dischi inoltre il trio non rinuncia al rock blues e esplora anche suoni nuovi e latineggianti.

L'album parte con In the Eye of the Sun, pezzo dal sapore blues cantanto da Manzarek che rimanda alle sonorità di Morrison Hotel. Il secondo pezzo, in cui troviamo Krieger al microfono, è la leggera è allegra Variety Is The Spice Of Life che proprio per la sua freschezza offre suoni nuovi e distintivi che non trovano simili nelle produzioni passate dei Doors. Anche il terzo brano intitolato Ships w/ Sails, cantato da Manzarek, propone sonorità decisamente nuove, ma questa volta la band si lascia influenzare dai suoni latini tipici di band come i Santana grazie alle percussioni suonate dal cubano Francisco Aguabella che vanta collaborazioni con alcuni tra i migliori musicisti di ogni tempo. Con la successiva Tightrope Ride, cantata ancora da Manzarek, il ritmo sale ed è forse il brano più veloce dell'intero album in cui l'influenza dei Beatles di Revolver si sente molto forte.

La quinta traccia è Down On The Farm, l'unica in cui i due cantanti duettano, ed è un altro brano allegro e divertente di chiara ispirazione country grazie all'armonica suonata dallo stesso Krieger e che al contempo non rinuncia alle influenza latine vista la presenza di una marimba suonata da Emil Richards. I'm Horny, I'm Stoned è l'ultimo pezzo cantato da Krieger e torna alle sonorità blues che avevano aperto il disco, sebbene con un approccio più leggero. Gli ultimi due brani sono entrambi cantanti da Manzarek. Wandering Musician è un pezzo guidato dal pianoforte suonato dallo stesso Manzarek che forse narra proprio di tre musicisti che vagano non potendo più contare sulla propria guida, anche in questo brano l'influenza dei Beatles si sente con forza. L'ultimo pezzo intitolato Hang on to Your Life vede ancora la presenza di Aguabella alle percussioni ed è forse il pezzo più latino dell'intero disco, ma questa volta le influenze non si fermano al rock latino ma virano anche verso il latin jazz anche grazie alla lunga jam session finale.

Non passò nemmeno un anno prima che i tre rimanenti Doors dessero vita ad un altro album nel luglio del 1972. Questo nuovo lavoro si intitola Full Circle e ripropone la mescolanza di suoni latini e psichedelia che aveva contraddistinto il disco precedente. Il primo brano si intitola Get Up and Dance e come suggerisce il titolo stesso è molto vivace e vibrante ed è sostenuto da un poderoso coro di voci femminili sul ritornello che si sommano al canto di Manzarek. Segue l'allegra 4 Billion Souls in cui alla voce torna Krieger e questa volta è proprio il chitarrista che sembra voler imitare lo stile canoro dei Beatles. La terza traccia è intitolata Verdilac e le sonorità tornano fortemente psichedeliche arricchite da forti influenze funk, il pezzo sembra ispirato a qualche sottofondo per la meditazione ed è impreziosito dal sax tenore suonato da Charles Lloyd che gli conferisce anche delle forti venature jazz. Con il brano successivo Hardwood Floor le atmosfere tornano festanti e spensierate e sostanzialmente si torna alla formula del brano di apertura con il coro di voci femminili che sostiene Manzarek sul ritornello. Il quinto pezzo è quello più smaccatamente blues e rock dell'intero album ed è una cover della celeberrima Good Rocking Tonight (qui intitolata Good Rockin') di Roy Brown interpretata in modo energico e vibrante a conferma che la band non rinuncia a nessun tassello della sua carriera precedente. Il brano seguente è quello che forse ha raggiunto il maggior successo nell'epoca dei Doors senza il loro leader storico: The Mosquito un pezzo latin jazz ispirato ai mariachi messicani e dal testo molto vacuo e scherzoso. La traccia successiva The Piano Bird è il secondo e ultimo in cui troviamo Krieger alla voce, il brano è fortemente jazz e di nuovo ispirato a ritmi latini, inoltre vede di nuovo dalla presenza di Charles Lloyd che questa volta suona il flauto. Con It Slipped My Mind le sonorità del gruppo tornano verso il blues rock ma questa volta con atmosfere più leggere. A chiudere l'album troviamo The Peking King and the New York Queen, altro brano piuttosto allegro con atmosfere che richiamano di nuovo la traccia di apertura, ma che vira anche verso il funk grazie alle chitarre in sottofondo.

Oltre a questi dischi, nel periodo successivo alla morte di Morrison la band pubblicò il brano Treetrunk come B-side di Get Up and Dance. Il pezzo non fu inserito nell'album perché ritenuto troppo commerciale ed effettivamente è molto pop e orecchiabile, ma comunque di ottimo livello soprattutto per il fatto di riproporre un duetto tra Krieger e Manzarek.

Dopo Full Circle la band pubblicò un ultimo disco nel 1978 intitolato An American Prayer, ma in questo caso tornò alla voce Jim Morrison. L'album è infatti una raccolta di poesie lette dal cantante defunto su cui è stata incisa una base musicale suonata dagli altri tre membri. Come è facile aspettarsi, Morrison non canta ma legge e l'intero disco suona molto forzato.

E' un vero peccato che Other Voices e Full Circle non godano della fama che meritano perché sono ottimi dischi dal suono sperimentale che mostrano che la band ha saputo lavorare bene anche senza il proprio leader e che forse Densmore, Manzarek e Krieger sono tre geni della musica troppo spesso adombrati dal loro ingombrante vocalist.

lunedì 12 settembre 2016

Hardcore Superstar Summerfield Music Festival - Cassano Magnago (VA), 11/9/2016

Nota: questo articolo è stato scritto dal guest blogger Tino che ringraziamo per il suo prezioso aiuto.

Quando associamo la Svezia alla musica di solito ci vengono in mente gli ABBA, gli Europe, e qualche centinaio di band black metal; dal paese scandinavo però arrivano anche gli Hardcore Superstar, band heavy metal formatasi a Göteborg alla fine degli anni 90 e tutt'ora in attività.

10 album e oltre 20 singoli per una band estremamente energica ma capace di mettere d'accordo i punk-rockettari, i metallari borchiati e gli amanti del glam con i loro pezzi forti ma estremamente orecchiabili; viene da chiedersi come mai non vengano inseriti nella programmazione di qualche radio prettamente rock (Virgin Radio, ad esempio) nel nostro paese. Il gruppo iniziò la sua carriera nel 1998 firmando con l'etichetta inglese Music for Nations per il lancio del loro primo disco ma è solamente nel 2000 che l'uscita di Bad Sneakers and a Piña Colada lanciò gli svedesi sotto i riflettori del panorama internazionale e l'anno successivo iniziò un tour che attraversò Europa, Giappone e Canada; nello stesso anno aprirono i concerti di Motorhead e Ac/Dc nel nostro paese. Dopo altri due dischi la band uscì con l'album eponimo che ricevette giudizi positivi da tutto il mondo e consacrò gli Hardcore Superstar in campo internazionale. L'unico cambio di formazione nella storia della band fu nel 2008 quando il chitarrista Thomas Silver lasciò volontariamente il gruppo e venne rimpiazzato da Vic Zino dei connazionali Crazy Lixx. I lavori più recenti della band sono del 2013 con C'mon Take on Me, non particolarmente apprezzato dalla critica ma a me i due singoli One More Minute e Above The Law sono piaciuti parecchio e il lavoro più recente della band, HCSS del 2015, è un gran disco quasi ai livelli di Bad Sneakers.

Nessun giro di parole, la band capitanata dal tarantolato Jocke Berg ha spaccato, tirando fuori tantissima energia a volumi da galera facendo tremare il tendone del Summerfield Music Festival, in quel di Cassano Magnago. Dopo un'ottima apertura da parte dei romagnoli Speed Stroke, gli Hardcore Superstar hanno iniziato il concerto con una scaletta che ha toccato ben sei album. Il martellante Hello/Goodbye è il pezzo di apertura seguito dal lento Touch the Sky. Si prosegue poi con i pezzi tratti da The Party Ain't Over 'Til We Say So come My Good Reputation e Wild Boys intervallati da Dreamin' In A Casket (che da il nome all'album che lo contiene) e Silence For The Peacefully.

Pubblico scatenato per Last Call for Alcohol prima dell'apice di We Don't Celebrate Sundays. Moonshine e Dear Old Fame conducono verso l'ultimo pezzo Above The Law.

Concerto non lunghissimo, un ora e venti circa per circa 14 pezzi. Non se se fosse dovuto a limitazioni di orario o alla voce del cantante arrivata al limite, ma i miei timpani non ce la facevano davvero più, gli 80 chilometri che mi separavano da casa li ho percorsi con le orecchie che fischiavano, oggi sembra andare meglio.

mercoledì 7 settembre 2016

Da dove nasce il termine heavy metal?

L'heavy metal è uno dei generi musicali più importanti al mondo e dagli anni 70 è tra quelli che ci hanno regalato alcuni dei più importanti capolavori musicali di ogni tempo. Ciò che però è poco noto è come sia nato l'uso di questo termine per descrivere un genere musicale.

Il primo utilizzo del termine heavy metal al di fuori del contesto chimico si trova nella trilogia di romanzi dello scrittore americano William Burroughs nota come The Nova Trilogy (pubblicata tra il 1961 e il 1968) e composta dai libri The Soft Machine (tradotto in italiano come La Macchina Morbida), The Ticket That Exploded (Il Biglietto che Esplose) e Nova Express (pubblicato in italiano con lo stesso titolo) in cui compare il personaggio di Uranian Willy the Heavy Metal Kid (chiamato in italiano L'Uraniano Willy il ragazzo del Metallo Pesante). Nei tre romanzi sono presenti anche gli heavy metal boys e si parla di heavy metal addict e heavy metal peril. Come è abbastanza evidente, però, il termine non ha alcun legame con la musica e al contrario vuole designare la dipendenza da droghe, di cui soffriva lo stesso Burroughs.

Il primo uso del termine heavy metal in campo musicale risale al brano Born to be Wild tratto dal primo ed eponimo album degli Steppenwolf uscito nel 1968 che recita all'inizio della seconda strofa I like smoke and lightning, heavy metal thunder, ma di nuovo non descrive un genere musicale, piuttosto potrebbe essere ispirato a quanto scritto nella trilogia di Burroughs.

Secondo una popolare leggenda metropolitana l'espressione heavy metal riferita a un ramo del rock particolarmente energico risalirebbe a una recensione del New York Times di un album di Jimi Hendrix in cui il recensore avrebbe scritto sounds like heavy metal falling from the sky. La leggenda nasce da quanto dichiarato da Chas Chandler nella quinta puntata, intitolata Crossroads (minuto 50, immagine accanto), della serie di documentari della PBS Rock & Roll del 1995 che menziona appunto il presunto articolo del New York Times. Per quanto la similitudine con del metallo che cade dal cielo sia affascinante, basta cercare nell'archivio del New York Times per verificare che tale testo non esiste, come confermato anche da altri ricercatori che si sono avventurati senza successo in questa ricerca; l'articolo più vecchio in cui compaiono le parole Jimi Hendrix ed heavy metal risale al 1975 e parla di come la musica rock stesse perdendo la propria parte danzante in favore di suoni più duri o più seri.

Secondo un'altra teoria l'inventore del termine sarebbe lo scrittore Lester Bangs che nella sua carriera ha scritto sia per Creem sia per Rolling Stone; vengono citati come testi nei quali l'avrebbe usato un suo articolo sui Black Sabbath o una sua recensione di Kick Out The Jams degli MC5, ma né il primo (disponibile solo su Archive.org, prima parte e seconda parte) né il secondo contengono l'espressione heavy metal. Altre fonti riportano invece che il primo scrittore ad utilizzare questo termine fu Sandy Pearlman nel descrivere la canzone Artificial Energy all'interno della recensione dell'album The Notorious Byrd Brothers dei Byrds, ma l'articolo di Pearlman in questione, pubblicato sul numero di maggio del 1968 della rivista Crawdaddy! (disponibile a questo indirizzo, pagina 2 della rivista) non contiene il termine heavy metal.

Secondo quanto riportato da Wikipedia, nel maggio del 1968 Barry Gifford usò il termine heavy metal nel recensire l'album A Long Time Comin' degli Electric Flag su Rolling Stone, la frase dell'autore fu Nobody who's been listening to Mike Bloomfield—either talking or playing—in the last few years could have expected this. This is the new soul music, the synthesis of white blues and heavy metal rock. Premesso che non siamo riusciti a verificare questa informazione perché l'articolo è irreperibile in rete, gli Electric Flag sono comunque un gruppo di musica soul e quindi questo uso del temine heavy metal (se confermato) non può essere considerato il primo che descriva ciò che poi è diventato l'heavy metal che oggi conosciamo. Che le intenzioni di Gifford fossero diverse è stato confermato dallo stesso autore secondo quanto riportato dal libro Louder Than Hell di Jon Wiederhorn e Katherine Turman, Gifford commentò infatti il suo stesso neoconio dicendo I was just describing the sound of the band, who, of course, bore no resemblance to what later became popularly known as heavy metal.

Nel gennaio del 1970, Lucian Truscott usò il termine heavy in una recensione dell'album Led Zeppelin II per definire la musica del gruppo di Robert Plant e Jimmy Page se confrontata con quella dei Blue Cheer o dei Vanilla Fudge. Tuttavia, di nuovo non si parla di heavy metal.

In realtà il primo autore ad usare il termine heavy metal per descrivere un genere di musica rock ricco di distorsioni e di suoni sostenuti (anche se non in termini del tutto positivi) fu Mike Saunders sulle pagine di Rolling Stone. Lo usò una prima volta nel recensire il disco As Safe as Yesterday Is degli Humble Pie nel novembre del 1970 scrivendo nel proprio articolo Here they were a noisy, unmelodic, heavy metal-leaden shit-rock band, with the loud and noisy parts beyond doubt. Un'immagine dell'articolo originale è mostrato dal documentario Heavy: The Story of Metal del 2006 (minuto 12, immagine accanto), il testo integrale è disponibile anche su Archive.org. In seguito ancora Saunders usò di nuovo il termine heavy metal nella sua recensione dell'album Kingdom Come dei Sir Lord Baltimore sul numero di maggio del 1971 di Creem nella quale scrisse Sir Lord Baltimore seems to have down pat most all the best heavy metal tricks in the book. Saunders spiegò anche alla scrittrice Deena Weinstein come l'idea gli venne, inventandola di sana pianta e non attingendo da Burroughs né dagli Steppenwolf.

Nessuno di noi attualmente definirebbe i Sir Lord Baltimore o gli Humble Pie come heavy metal, ma oggi siamo tutti profondamente debitori a Mike Saunders per aver coniato un'espressione entrata nel lessico mondiale e molto probabilmente l'autore non era cosciente che prendendo in prestito un termine dalla chimica avrebbe creato un'espressione destinata a durare in eterno e a condizionare la musica e il linguaggio.

mercoledì 31 agosto 2016

An interview with Myrath

An Italian translation is available here.

Thanks to their distinctive sound made of a mixture of typical metal sounds and Arabic tunes, Tunisian Myrath is the best known metal band in their own country and one of the most relevant realities of the oriental metal scene. The band released four studio albums so far between 2007 and 2016 and their most recent work called Legacy was released at the beginning of this year.

Myrath kindly accepted our request for an interview that we are offering our readers. We would like to thank Myrath for their kindness and availability.


125esima Strada: Hi everyone, first of all thanks for the time you are giving us. Let's talk about the music of Myrath, how did you guys have the idea of mixing Arabic music with power metal?

Elyes: In the beginning we started as a cover band, playing several shows in our home country, Tunisia, yet we all shared a desire to create a unique sound which combines all the elements we are passionate about, both in metal and folkloric music. In Tunisia there is an abundance of captivating folk tunes and interesting melodies, and we wanted to integrate that into metal music. And I must add that our producer Kevin Codfert encouraged us to venture unto this route, as we weren’t very sure how it will all shape up in the beginning, but he was very supportive of the idea of mixing Tunisian oriental tunes with metal.


125esima Strada: What are your thoughts about oriental metal and do you guys consider Myrath an oriental metal band?

Malek: We definitely like oriental metal, as a genre that has a great room for creativity and renewal. We have been labelled under several different genres of metal throughout our career: oriental, power, progressive and so on, yet I think the music is not one or the other. Our music is influenced by Tunisian and North African music, so perhaps Tunisian metal would be a more accurate label.


125esima Strada: I think the video for Believer is striking and resembles Prince of Persia a lot. How did you guys have the idea for the video?

Zaher: Indeed, the video is inspired by Prince of Persia, as we are all fans of that game, in addition to One Thousand and One Nights tales, and such, we found that the general atmosphere or scenery of those stories goes very well with Myrath’s musical identity, and so we decided to create a storyline inspired by those imageries.


125esima Strada: In my opinion Tales of the Sands is the album with the greatest influence of Arabic music. Do you  guys agree and if so how do you guys explain that?

Elyes: I don’t quite agree, perhaps Tunisian and North African elements in Tale of the Sands were more present than in the albums preceding it, but I believe Legacy is the one with the most diversified elements of our Tunisian heritage and metal. In Legacy we managed to balance the roles of each instrument so that guitars, strings or percussions have equal appearances, depending on each song of course, but overall I think Legacy is our signature album so far.


125esima Strada: Five years passed between Tales of the Sands and Legacy. How come? I mean, five years is a very long time.

Anis: Circumstances were not very favourable for us to work on a new album during the past five years. We have sadly lost our manager, Malek’s father, our country, Tunisia, was in political turmoil and we had to break a curfew on some days to make it to the studio and thus many different aspects delayed the production process of the album! Although this has contributed in a way to shaping Legacy; we had the time to reflect on what we wanted our fourth album to be, and renew our inspiration through several tours that took us from USA to India!


125esima Strada: Do you guys think the unstable situation in Tunisia is somehow having an influence on your music?

Malek: Definitely. From a technical perspective as we told you in the previous question it made it a bit difficult for us to write and produce our songs in due time, and musically speaking it has inspired us to write songs and melodies from the spirit of what was going on at the time. Get Your Freedom Back is dedicated to the Tunisian people of the revolution and inspired by them.


125esima Strada: What can you guys tell us about the rock and metal scene in Tunisia? Is Myrath the only valuable band?

Anis: There is a solid metal scene in Tunisia, with its own challenges. It became a little underground post the revolution, but it is advancing too and developing.

We have several metal or rock bands like Carthagods, Persona, Nawather, to name a few. And we are all supported by our fans and community, although there is no governmental or state support for the music, they tend to focus more on pop and mainstream music. As for us, we were the first Tunisian metal band to be signed on a label and gain momentum internationally.


125esima Strada: And what about the metal scene in Africa? Are there interesting scenes in other African countries?

Elyes: Of course. I am aware of several bands in Algeria and Egypt and I am sure other African countries have a metal scene too. Although it is not as thriving as the European scene for example, due to lack of support, it is basically still developing.


125esima Strada: Who are the bands and musicians that influenced you guys most?

Morgan: Many bands, but to name a few it would be Symphony X, Death, Dream Theatre, Pantera, Metallica, Iron Maiden, Black Sabbath and Judas Priest.


125esima Strada: Apart from these ones, who are your favorite bands or musicians in general?

Elyes: Textures, Muse, Periphery, Meshuggah, Ghost, and many more. But those are who come to mind now!

Intervista ai Myrath

L'originale inglese è disponibile qui.

Grazie al loro suono distintivo fatto della fusione tra sonorità tipicamente metal e musica della loro terra, i tunisini Myrath sono la band più nota del panorama metal del loro paese e una delle principali realtà dell'oriental metal. Il gruppo ha all'attivo quattro album pubblicati tra il 2007 e il 2016 e il loro ultimo lavoro è intitolato Legacy ed è stato pubblicato all'inizio di quest'anno.

La band ha cortesemente accettato la nostra proposta per un intervista che pubblichiamo di seguito. Ringraziamo i Myrath per la loro cortesia e disponibilità.


125esima Strada: Ciao ragazzi, anzitutto grazie per il tempo che ci state dedicando. Parliamo della musica dei Myrath, come vi è venuta l’idea di mischiare musica araba e power metal?

Elyes: All'inizio eravamo una cover band e facevamo molti spettacoli nella nostra nazione di origine, la Tunisia, ma tutti avevamo comunque il desiderio di creare un suono distintivo che combinasse gli elementi di cui eravamo appassionati, sia nel metal sia nella musica folk. In Tunisia c’è molta musica folk accattivante e molte melodie interessanti, e volevamo integrarle nel metal. E devo aggiungere che il nostro produttore Kevin Codfert ci ha incoraggiati ad avventurarci per questa strada, mentre noi all'inizio non sapevamo che forma avrebbe avuto, ma lui ci ha supportato molto nell'idea di mischiare le musiche orientali della Tunisia con il metal.


125esima Strada: Cosa pensate dell’oriental metal e considerate i Myrath una band di oriental metal?

Malek: Ci piace molto l’oriental metal, come genere dà molto spazio alla creatività e all'innovazione. Siamo stati etichettati sotto molti generi diversi di metal durante la nostra carriera: oriental, power, progressive e altri ancora, eppure io credo che la nostra musica non appartenga a nessuno di questi. La nostra musica è influenzata dalla musica tunisina e nordafricana, quindi forse metal tunisino sarebbe l’etichetta più corretta.


125esima Strada: Credo che il video di Believer sia molto bello e ricordi molto Prince of Persia. Come vi è venuta l’idea per questo video?

Zaher: Vero, il video è ispirato a Prince of Persia, perché siamo tutti fan di questo gioco, oltre ai racconti come quelli di Le Mille e Una Notte, quindi pensammo che l’atmosfera generale e gli scenari di quelle storie fossero adeguati all'identità musicale dei Myrath e quindi decidemmo di creare una storia ispirata e quegli immaginari.


125esima Strada: Trovo che Tales of the Sands sia l’album con la maggiore influenza di musica araba. Siete d’accordo e se sì come lo spiegate?

Elyes: Non sono d’accordo, forse gli elementi tunisini e nordafricani in Tales of the Sands erano più presenti che negli album precedenti, ma credo che Legacy sia quello con elementi più vari del nostro retaggio tunisino e del metal. In Legacy siamo riusciti a bilanciare i ruoli di ciascuno strumento così che le chitarre, gli archi e le percussioni hanno la stessa presenza, variando da brano a brano ovviamente, ma nel complesso penso che Legacy sia il nostro album più rappresentativo fin qui.


125esima Strada: Sono passati cinque anni da Tales of the Sand a Legacy? Perché? Voglio dire, cinque anni sono un periodo molto lungo.

Anis: Le circostanze non erano molto favorevoli perché potessimo lavorare a un nuovo album negli ultimi cinque anni. Purtroppo abbiamo perso il nostro manager, il padre di Malek, e la nostra nazione, la Tunisia, era in un periodo di instabilità politica e in alcuni giorni abbiamo dovuto violare il coprifuoco per arrivare in studio e quindi molti aspetti diversi hanno causato ritardi nella produzione dell’album! Tuttavia questo ha contribuito in qualche modo a dare una forma a Legacy; abbiamo avuto tempo di riflettere su come volevamo che fosse il nostro quarto album, e rinnovare la nostra ispirazione attraverso i vari tour che abbiamo fatto dagli USA all’India!


125esima Strada: Credete che la situazione instabile della Tunisia abbia influenzato la vostra musica?

Malek: Sicuramente. Da un punto di vista tecnico come ti abbiamo detto nella domanda precedente ci ha reso un po’ difficile scrivere e produrre le nostre canzoni in tempo, e musicalmente ci ha ispirato a scrivere brani e melodie nello spirito di ciò che stava succedendo in quel tempo. Get Your Freedom Back è dedicato al popolo tunisino della rivoluzione e ispirata da loro.


125esima Strada: Cosa ci dite della scena rock e metal della Tunisia? I Myrath sono l’unica band di valore?

Anis: C’è una scena metal solida in Tunisia, con le sue difficoltà. E’ diventata un po’ underground dopo la rivoluzione, ma sta anche facendo progressi e si sta sviluppando.

Abbiamo molte band metal o rock come i Carthagods, i Persona, i Nawather solo per nominarne alcune. E siamo tutti sostenuti dai nostri fans e dalle nostre community, anche se non c’è alcun supporto statale o governativo per la musica, tendono a concentrarsi più sul pop e sulla musica mainstream. Per quanto ci riguarda, siamo stati la prima band tunisina a firmare un contratto con un etichetta e ad avere un'attività internazionale.


125esima Strada: E cosa dite della scena metal in Africa? Ci sono scene interessanti in altre nazioni africane?

Elyes: Si, certo. So di molte band in Algeria e in Egitto e sono sicuro che altre nazioni africane abbiano una scena metal. Anche se non è fiorente come la scena europea ad esempio, per via dello scarso supporto, praticamente si sta ancora sviluppando.


125esima Strada: Quali band vi hanno influenzato di più?

Morgan: Molte band, per nominarne alcune direi Symphony X, Death, Dream Theatre, Pantera, Metallica, Iron Maiden, Black Sabbath e Judas Priest.


125esima Strada: Oltre a queste, quali sono le vostre band o i vostri musicisti preferiti in generale?

Elyes: Textures, Muse, Periphery, Meshuggah, Ghost, e molti altri. Ma questi sono quelli che mi vengono in mente ora!

sabato 27 agosto 2016

Strane somiglianze: The Banana Splits vs Bob Marley

Chiunque sia cresciuto negli anni 70 o 80 ricorda con piacere il programma televisivo The Banana Splits Adventure Hour (trasmesso anche in Italia con il titolo Lo Show dei Banana Splits), spettacolo per bambini creato da Hanna-Barbera che aveva come protagonisti un fittizio gruppo musicale composto da cinque animali di peluche. Lo show andò in onda per la prima volta dal 68 al 70 e fu poi replicato numerose volte. Il brano più famoso tra quelli cantati dallo strano gruppo e per il quale è tuttora ricordato è senza dubbio la sigla del programma intitolata The Tra La La Song (One Banana, Two Banana).

Come è ovvio la sigla del programma fu trasmessa per la prima volta nel 1968 e può quindi stupire un po' che il brano Buffalo Soldier di Bob Marley, pubblicato postumo nel 1983 nell'album Confrontation, le somigli così tanto perché è difficile credere che uno dei più grandi musicisti di sempre abbia copiato uno spettacolo televisivo per bambini. Ma basta un breve ascolto per constatare che il ponte del pezzo di Marley che dice Woy yo yo, wo, yo, yo, yo è molto simile all'inizio del brano dei Banana Splits laddove questi cantano Tra la la, la la la la.

Secondo un articolo della BBC, le somiglianze tra i due pezzi sono effettivamente oltre i limiti del plagio, la questione da chiarire resta pertanto se Marley possa aver ascoltato il brano dei Banana Splits prima di scrivere Buffalo Soldier. Il portavoce della Bob Marley Foundation Paul Kelly ha negato che Marley conoscesse lo show dei Banana Splits e che ne avesse copiato la sigla, anche perché Buffalo Soldier ha un testo molto serio che parla della deportazione degli schiavi africani e non può essere ispirato da una canzone per bambini senza senso.

In realtà le parole di Kelly non provano nulla perché per il suo ruolo non potrebbe ammettere il plagio nemmeno se ne fosse sicuro, inoltre né Kelly né nessun'altro potevano entrare nella testa di Marley per sapere da dove prendeva ispirazione: il cantante avrebbe potuto attingere dai Banana Splits e non raccontarlo a nessuno. Del resto Marley viaggiò molto durante tutta la sua carriera e trascorse lunghi periodi negli USA e in UK ed è pertanto perfettamente plausibile che abbia visto in TV lo show dei Banana Splits.

Comunque sia andata, non conosceremo mai la verità perché gli autori dei Banana Splits non hanno mai avviato alcuna azione legale verso gli eredi di Marley né contro il coautore Noel George Williams (deceduto nel 2015). Possiamo quindi avanzare ipotesi e congetture, ma non sapremo mai se il re del reggae ha copiato intenzionalmente la sigla di uno show per bambini.